Paradosso sull'attore

di Denis Diderot

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  1. dezda26
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    PARADOSSO SULL'ATTORE



    Il Paradosso sull'attore (Paradoxe sur le comédien, in lingua originale francese) é uno dei testi più celebri e brillanti dell'estetica illuminista. Si tratta di un trattato sull'arte drammatica scritto negli anni compresi tra il 1770 e il 1780 dal filosofo, enciclopedista e scrittore francese Denis Diderot (Langres, 5 ottobre 1713 - Parigi, 31 luglio 1784), uno dei massimi rappresentanti dell'Illuminismo. Scritto e organizzato sotto forma di dialogo tra due interlocutori, é ancora oggi una delle opere più importanti sull'arte della recitazione, le cui pagine offrono una galleria di ritratti e una serie di aneddoti e di osservazioni preziose per la conoscenza della vita letteraria e teatrale del tempo.
    Non esiste opera di Diderot più letta, più commentata, più contestata e più sicura di sopravvivere. Finché vi saranno teatri e attori il paradosso farà scandalo scriveva Paul Vernière, il maggior critico del pensiero e degli scritti del grande illuminista francese.






    Composizione



    Pubblicato postumo nel 1830, il Paradosso sull'attore fu certamente rimaneggiato dall'autore, dopo la prima stesura, intorno al 1783-1784.
    La genesi dell'opera é da rintracciarsi nell'interesse di Diderot per un saggio su David Garrick, celebre attore teatrale inglese. Il direttore della rivista per la quale Diderot componeva articoli, Correspondances littéraires, gli aveva infatti inviato il saggio assieme ad altri per farglielo recensire. Colpito dal lavoro e dall'analisi sullo stile recitativo, Diderot elaborò una personale teoria sull'arte drammatica, espressa poi sulle pagine della rivista. L'opera è un ampliamento dello stesso articolo di Diderot apparso per la prima volta nel 1770 su Correspondances littéraires, col titolo Garrick et les acteurs anglais. Solo nel 1773 lo revisiona e lo pubblica con il titolo che conosciamo.





    Contenuti



    Con un pò di cura, forse non avrei mai scritto nulla di più sottile e di più acuto. E' un bel paradosso. Sostengo che é la sensibilità a rendere gli attori mediocri, l'estrema sensibilità gli attori limitati, il sangue freddo e il cervello gli attori sublimi: così Diderot scriveva nel 1769 a Grinim, direttore della Correspondances littéraires, annunciandogli il proprio testo. Soltanto dieci anni più tardi, dopo varie revisioni, il Paradosso sull'attore assumerà la sua definitiva forma dialogica, caratteristica tipica dell'autore, affidando le sue idee a un primo e a un secondo interlocutore. Dovrà attendere il 1830 per essere pubblicato in libro. Ma già al suo apparire in rivista, il testo alimentò l'accesa polemica sviluppatasi nell'Europa settecentesca sulla funzione del teatro, che vide tra i suoi protagonisti autori come Rousseau, Voltaire e Lessing. Ma sarebbe errato relegare il Paradosso nell'ambito della specificità teatrale: scritto appunto sotto la forma serrata del dialogo, che nel suo movimento dialettico esprime al meglio la complessità del pensiero diderotiano, esso affronta anche il problema, cruciale nell'estetica, del "modello ideale" e della sua funzione nella rappresentazione della realtà. Prendendo posizione contro la sensibilità, Diderot rifiuta ogni forma passiva e/o impulsiva d'imitazione della natura: l'arte non può ridursi al puro e semplice effetto psicologico dell'immedesimazione, ma deve essere adeguazione critica a un modello, a un fulcro ideale, risultato - a sua volta - di un complesso lavoro di osservazione e di riflessione sui dati del reale.
    Ponendosi controcorrente rispetto al pensiero coevo, Diderot svela che l'attore non é un passivo imitatore né un artista che basa la sua arte sulla sola sensibilità o sullo slancio romantico delle passioni. C'é bisogno infatti che l'attore non solo studi i grandi modelli precedenti, ma che si affidi, nell'interpretazione, alla razionalità, la quale gli potrà permettere di ottenere risultati costanti.
    In questo modo Diderot assegna all'attore lo statuto di creatore e non di imitatore, mettendolo al pari dell'autore teatrale, considerato l'unico vero creatore della storia rappresentata. L'eccessivo slancio causa nell'attore un eccesso di artificiosità nella recitazione: una studiata razionalità, unita alla perspicacia, otterrebbero invece la naturalezza dell'interpretazione. Poiché il compito dell'attore é poi riprodurre le medesime scene più volte nel corso della sua vita, un'interpretazione basata sulla sola emotività rischierebbe di rendere incostante il risultato, che potrebbe essere influenzato dalla stanchezza o dal turbamento, causando l'insuccesso dell'interprete.





    In dettaglio

    Nel Paradosso sull'attore si toccano i seguenti temi:

    - la riforma del teatro;
    - la creazione drammatica;
    - la psicologia dell'attore;
    - l'arte della recitazione;
    - il problema generale dell'estetica.

    Quindi è un equivoco sostenere che il testo riguardi soltanto la sensibilità dell'attore. Diderot articola la sua tesi sulla psicologia dell'attore in sette argomenti:

    - l'emozione non si ripete a comando; é impossibile sentire sempre con la stessa intensità;
    - bisogna studiare e riflettere per inserire l'espressione dell'attore in un sistema stabilito;
    - l'emozione si forma in una rappresentazione artistica attraverso un processo che non é paragonabile a quello che riguarda episodi della vita naturale;
    - l'attore nel pieno possesso dei suoi mezzi é l'attore maturo, e non quello giovane;
    - le constatazioni di fatto sul controllo degli attori mostrano o la necessità del sangue freddo o la sostanziale mancanza di emozione;
    - la recitazione si perfeziona con le prove e le repliche, cioé quando l'originario ardore si é superato;
    - l'emozione paralizza: non si possono fare due cose insieme, per esempio essere commossi e conservare il proprio senso critico.

    Osservare la natura (oggi diremmo restare aderenti alla realtà): questa é l'essenza della tesi di Diderot, ed ecco perché si parla di nascita dell'attore moderno. Occorre quindi molta osservazione della realtà per imparare ad imitarla, rappresentarla, riprodurla; questo é il significato sostanziale dell'opera. Se spostiamo l'accento sull'insensibilità dell'attore, ne falsiamo lo spirito con la quale Diderot l'ha prodotta. Ma non poteva non accadere che l'attenzione e le polemiche si focalizzassero attorno a due brevi passi che sembrano riassumere tutta l'argomentazione: "é l'estrema sensibilità che fa gli attori mediocri; é la sensibilità mediocre che fa l'infinita schiera di cattivi attori. Ed é l'assoluta mancanza di sensibilità che prepara gli attori sublimi. Esigo che l'attore abbia molto raziocinio, voglio che sia uno spettatore freddo e tranquillo; di conseguenza gli richiedo penetrazione e punta sensibilità". - "Nessuna sensibilità!" - é l'esclamazione che fa il secondo interlocutore; ma, bisogna dirlo, anche qualunque lettore: non si tratta dunque di un paradosso?
    Anche Diderot voleva dedicarsi al teatro come attore: la sua educazione teatrale, avviata fin dalla giovane età, si svolse tra il 1732 e il 1743. La sua concezione del teatro lo spinge a reagire contro ogni forma di enfasi, di artificiosità e di pesantezza attraverso una recitazione naturale, vicina al buon senso, reale. Così, nella recitazione come nella rappresentazione e nella drammaturgia, Diderot ha sempre inseguito un obiettivo concreto, l'adesione alla realtà (a quei tempi si diceva imitazione della natura), divenendo fautore di una riforma. Così l'autocontrollo dell'attore é una conseguenza necessaria, ma la sua formulazione nel Paradosso sull'attore é addirittura clamorosa e paradossale: "l'attore non deve possedere nessuna sensibilità!"
    Ma in che misura l'attore é paradossale? Rispetto alle idee che circolavano ai tempi di Diderot, intanto, appare meno paradossale di quanto si possa pensare. Per esempio, nel capitolo sull'espressione, si può leggere un'idea interessante e vera: si crede comunemente che, per esprimere con forza i sentimenti del suo personaggio, un attore debba essere penetrato da questi sentimenti; il Riccoboni (leggi note sotto) invece, sosteneva che se si ha la disgrazia di sentire veramente quel che si deve esprimere, non si è più in condizione di recitare. I sentimenti si susseguono sulla scena con una rapidità che non esiste nella realtà. La breve durata di un lavoro teatrale costringe agli eventi di precipitare in un lasso di tempo ristretto, conferendo forza all'azione. Se in una scena d'amore vi lasciate trasportare dal sentimento, vi troverete all'improvviso col cuore in gola, la voce ristretta, e vi sarà impossibile procedere cambiando improvvisamente umore e sentimento. Quindi col Riccoboni sembra già di leggere l'opera di Diderot.
    Diderot scriveva: "un attore che ha soltanto buon senso e giudizio é freddo; uno che ha solo vivacità e sensibilità é folle. Solo una combinazione di buon senso e di calore fa l'uomo sublime: e sulla scena, come nella vita, chi mostra più di quanto sente fa ridere invece di commuovere". Allora non sembra che Diderot capovolga questa affermazione quando, nel Paradosso, dice che "é l'estrema sensibilità che fa gli attori mediocri; é la sensibilità mediocre che fa l'infinita schiera dei cattivi attori; ed è l'assoluta mancanza di sensibilità che prepara gli attori sublimi". In realtà Diderot muoveva una critica ben precisa al teatro del suo tempo, e attraverso queste affermazioni voleva rimproverare agli attori una declamazione statica, preferendo una recitazione (anzi un jeu, cioé un'azione scenica) viva e naturale, affermando addirittura la necessità per l'attore di diventare pantomimo (che crea una rappresentazione senza subordinarsi al testo che non ha inventato lui e, quindi, schiavo di un'invenzione anteriore alla sua interpretazione). - QUI trovi il significato di pantomima -
    Il Paradosso sull'attore va classificato tra le opere in cui l'autore, alle soglie della vecchiaia, esprime il suo pensiero più maturo ed intimo. Se all'inizio le idee sull'attore e la recitazione sono abbastanza vaghe, più avanti acquistano uno spessore che di fatto ha lasciato il segno nella storia del teatro moderno. Fino al 1757 Diderot non ha approfondito la sua teoria né sull'intelligenza né sulla sensibilità dell'attore; fino a quel momento, col termine sensibilità indicava in maniera generica molte cose diverse: emozione, passione, entusiasmo, ecc. E tutte queste definizioni riconducevano a un'idea altrettanto vaga di istinto come motore universale per l'attore. Quando arriva a scrivere il Paradosso sull'attore, é nel pieno della sua maturità, ricca di riflessioni filosofiche. Così, secondo lui, l'intelligenza é posta alle dipendenze del cervello, mentre l'emotività assume un aspetto marginale. Se prima gli interessava un istinto vago e multiforme, più avanti Diderot prediligerà un istinto ricco di vitalismo e che sia funzionale alla recitazione. Così l'ordine che caratterizza l'istinto si contrappone al disordine della sensibilità emotiva. Per lui la ragione é una spontaneità orientata, quindi un istinto. Ecco quindi che Diderot attribuisce alla ragione quello che prima attribuiva alla sensibilità, riformulata però nell'ottica della sensibilità intesa come emozione grezza ed incontrollata. Il punto é che Diderot ha adoperato il termine sensibilità in differenti accezioni nelle sue opere, ma ciò non lo si é considerato durante le numerose polemiche sul Paradosso. Lui utilizza sostanzialmente tre definizioni di sensibilità:

    - sensibilità morbosa;
    - sensibilità come emotività;
    - sensibilità come gusto, capacità di avvertire e di penetrare.

    Nel Paradosso sull'attore, Diderot respinge il primo significato perché ritenuto nocivo; il secondo e soprattutto il terzo sono invece qualità indispensabili per l'attore. La ragione deve sostituire la sensibilità nel significato deteriore del termine (prima accezione), ma non esclude affatto l'immaginazione o l'entusiasmo: "é il sangue freddo che deve temperare il delirio dell'entusiasmo... appunto, il delirio dell'entusiasmo, non l'entusiasmo!" Cioé occorre controllarlo, ordinarlo, dirigerlo, renderlo efficace. Il genio non é la pura espansione della sensibilità, bensì una misteriosa combinazione (talento) di immaginazione ed autodisciplina. L'attore, secondo Diderot, può essere geniale solo se diviene padrone del suo essere e cosciente del suo mostruoso dualismo sulla scena. Osservare la natura, restare aderenti alla realtà: bisogna fare in modo che sugli impulsi emozionali abbiano la meglio la riflessione critica e l'autocontrollo; sono essi che possono mettervi all'altezza delle interpretazioni che l'attore é chiamato a fare. Questo è il significato del Paradosso sull'attore. Diderot concorda con Rousseau: il teatro, così com'é, é soltanto un divertimento capace di produrre impressioni destinate a dissolversi appena finito lo spettacolo; lo spettatore lascia i suoi vizi all'entrata e li riprende all'uscita dalla sala. La stessa diagnosi di Rousseau? Sì, ma se Rousseau vuole abolire il teatro, Diderot vuole invece riformarlo. Entrambi vogliono e predicano un ritorno alla natura, ma la natura non é la stessa cosa per entrambi; é curioso, infatti, che Diderot esalti l'attore a partire dalle stesse considerazioni fatte da Rousseau per manifestare il suo disprezzo per l'attore: "in che consiste il talento dell'attore? Nell'arte di contraffarsi, di assumere un carattere diverso, di sembrare ciò che non é, di appassionarsi a freddo, di dire ciò che non si pensa con la stessa naturalezza come se lo si pensasse veramente, dimenticare il proprio posto a forza di prendere quello di un altro".
    Secondo Diderot quest'arte può essere usata per migliorare l'uomo, e l'attore intelligente sarà tanto più apprezzabile quanto più avrà coscienza dei propri compiti. Proprio perché l'attore si caratterizza per uno sdoppiamento tra la parte che egli interpreta e ciò che egli é realmente, non esiste un legame tra sdoppiamento ed immoralità: io non sono il mio personaggio; l'attore che interpreta sulla scena un personaggio vizioso e repellente é invece, nella realtà, un uomo normalissimo e pieno di valori. Diderot afferma che il Tartufo (leggi QUI) é viscido e impostore sulla scena, ma l'attore é candido e onesto nella vita.

    Come Diderot, anche il filosofo Frederich Nietzsche sostiene la necessità di una recitazione lucida, assunta nel pieno controllo dei propri mezzi intellettuali ed emotivi: "L'attore non prova il sentimento che esprime. Sarebbe perduto se lo provasse". (La volontà di potenza)

    (Verba Volant)



    Il saggio di Diderot ancora oggi conserva inalterato il suo valore ed é alla base delle moderne teorie sul lavoro dell'attore, il quale necessita di una severa disciplina e di una studiata tecnica per affrontare il suo lavoro.





    Commento



    Il Paradosso sull'attore fu anche il primo libro serio che il giovane Leonardo Sciascia (Racalmuto, 8 gennaio 1921 - Palermo, 20 novembre 1989) - celebre scrittore, saggista e politico italiano - lesse durante gli anni di formazione a Racalmuto (comune di Agrigento). Lo lesse nella prima traduzione italiana dell'opera, realizzata da Alessandro Varaldo nel 1909 per la Casa Editrice Sonzogno. Il libro, smilzo nelle sue novanta pagine di testo, era uscito in una collana a carattere fortemente popolare che, però, aveva avuto il pregio fin dall'inizio di proporre ad un pubblico il più vasto possibile testi classici nell'ambito della cultura mondiale in un'edizione dimessa che aveva, per questo, costi fortemente ridotti. Sciascia rimase colpito in maniera straordinaria dall'opera di Diderot tanto da parlarne in ogni occasione come della sua personale iniziazione all'Illuminismo e alle sue forme di razionalità dialettica. Più che l'argomento trattato (anche se su di esso tornerà a più riprese nella sua scrittura saggistica) lo scrittore di Racalmuto apprezzava il modo di argomentare e lo stile di Diderot.
    La tesi contenuta in questo aureo libello é piuttosto nota per il suo carattere paradossale: l'attore (che in francese si traduce più esaustivamente come comédien - commediante - piuttosto che come acteur - attore) é tanto più bravo ed efficace sul palcoscenico quanto meno sente il personaggio e interpreta la parte per imitazione dei suoi atteggiamenti e dei suoi sentimenti. Se l'attore imita il personaggio riesce a renderlo efficacemente, se vuole entrare dentro di esso, comprenderlo, riviverlo, in sostanza diventare il personaggio da lui interpretato, risulta fiacco e inattendibile. La finzione (soltanto quella scenica?) é di gran lunga più credibile e verosimile della realtà (umana). Ciò contraddice - va da sé - tutti gli insegnamenti che gli attori ricevono nelle scuole di teatro prima di calcare il palcoscenico, e soprattutto é in opposizione al modello di immedesimazione nel personaggio che contraddistingue il "metodo" di recitazione lanciato ad inizio del secolo scorso da Kostantin Stanislavskij (leggi QUI) e poi ripreso in America da Lee Strasberg (leggi QUI) per il suo ormai mitico Actor's Studio (leggi in questa pagina).

    (Giuseppe Panella)



    ****





    NOTE:
    Antonio Riccoboni: (Rovigo, 1541 - Padova, 1599) Umanista e storico italiano. Professore di eloquenza nell'Università di Padova. Fu autore di commenti alla Poetica e all'Etica di Aristotele. Le opere principali sono "Commentarius de historia liber" (1568), "De gymnasio patavino" (1598), "De poetica Aristotelis cum Horatio Collatus" (1599).


    Edited by dezda26 - 9/8/2011, 17:02
     
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