*Il Grande Sogno di Maya - ガラスの仮面 - Glass no Kamen  - Glass Mask - Manga, Anime, Drama

Posts written by Bathsheba Everdene

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    CITAZIONE (LaraTania @ 8/5/2024, 21:20) 
    Ho recuperato il secondo....e l'ho adorato dall'inizio alla fine.
    Kotaro che riconosce Keiji sulla banchina mi ha emozionato...ma poi si accorge che è un Non-Akaashi.
    Soltanto la sensibilità di chi ti vuole bene può notare dai piccoli segnali che qualcosa non va<. uno sguardo spento, delle rughe premature, segni di un dolore o di un trauma che non ti abbandoneranno più.....

    Sono almeno due anni che Kōtaro non lo vede e non lo sente. A un certo punto il suo numero non ha mai più squillato e forse sta proprio lì la causa di questo senso di estraneità nella familiarità che lo fa ammutolire.
    Due anni che improvvisamente gli sembrano infiniti. Due anni che anche lui ha contribuito a scavare perché non lo hai mai cercato.
    qui realizza e capisce...che gli è mancato anche se non lo sa ancora e magari si chiede il perchè non abbia fatto niente lui...

    e quando lo solleva lo percepisce si dimagrito ma soprattutto fragile e diminuito, l'essere sciupato che non deriva da una dieta ma da un dolore, da qualcosa che non và e non lo lascia solo, lo soccorre fisicamente e spiritualmente....dolcissimo!!!!

    Solo mi domando, esistono davvero i trombamici??? lui e Tetsurō Kurō...veramente, almeno uno dei due non prova niente????

    Spero dopo cena di recuperare il terzo e mettermi in pari, ma me lo voglio gustare con calma <3

    :siiii: Mi piace che ti stia prendendo 🤩! Qui è volutamente rovesciato e reso più drammatico quello che è nel manga il rapporto fra questi due personaggi, di grande empatia: Kōtaro è infatti pieno di “debolezze” e Akaashi, che le ha numerate tutte (se ne conoscono 38) ha per tutte la soluzione 😆.
    Stavolta è lui che bisogno della soluzione ☺️.

    Sui trombamici: non so quanto sia possibile questo fenomeno nella realtà, ma sicuramente è un “trope” letterario (ad esempio in Murakami) che complica gli intrecci. Capirai che ghiotte opportunità nelle fan fiction!!
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    CITAZIONE (LaraTania @ 8/5/2024, 16:22) 
    com'è possibile? non l'avevo vista!!!! :sciok:
    Ho letto solo il primo capitolo
    La notte spesso mentre dormo mi viene mal di testa con tutto ciò che ne consegue, nausea, giramenti, vomito etc......e poco ci mancava che mi venisse anche adesso talmente l'hai descritto bene e talmente mi sono immedesimata...AIUTO!!!!

    Eccomi 🙋🏻‍♀️!
    L’altro giorno ti stavo rispondendo su messenger per dirti che stavo iniziando a postarla ma poi sono arrivati i soliti impicci, stavo col cellulare e mi è sparita anche la connessione 😆!
    L’emicrania… allora, qui è un omaggio a mio marito ❤️, che ne soffriva parecchio. Lui era davvero una stazione barometrica 🙂 - quando poi ho letto Espiazione, quel passaggio mi è rimasto a fuoco nella mente, e allora eccolo qui mescolato all’osservazione diretta.

    È una storia che ho amato molto scrivere, specialmente per come è “uscito” Keiji. Kōtaro è invece il gigante buono. Ma tanto 🤩.

    Vado avanti con calma 😘
  3. .
    😘


    Capitolo 3 - Cielo coperto


    Keiji si scalda le mani sulla tazza e il cuore sulla voce di Kōtaro. Per le prime, sa che quello del freddo alle estremità delle dita è un effetto del farmaco che ha preso, per il secondo sa che il ghiaccio che tintinna nella sua cassa toracica è duro da sciogliere ma nonostante questo sa anche che non può evitare di protendersi verso quel calore irresistibile, umano e animale allo stesso tempo, un calore che conosce benissimo e che gli ha reso quasi impossibile il suo secondo anno di liceo: l’anno della consapevolezza, del cuore sotto un costante e ossessivo controllo, del sapersi diverso e innamorato.
    È in quel momento esatto che Midori gli manca come l’aria perché finalmente è pronto a dirlo a qualcuno, è pronto a rendere reale e incontestabile il fatto che il suo cuore sanguina piano per Kōtaro Bokuto, talmente piano che così com’è, l’emorragia potrebbe durare per tutta la vita ma se scioglie troppo ghiaccio, la portata sicuramente aumenterà. È anche per questo che si è allontanato per anni da quel ragazzone che fa tremare le pareti della palestra e della sua anima.

    Gli chiede comunque di parlargli, si lascia avvolgere dalle sue parole, dai suoi discorsi pieni di subordinate di primo, secondo e terzo grado, che non sembrano trovare mai un punto. Si lascia inondare di ricordi, incontra nuovamente se stesso, il Keiji Akaashi di dieci anni prima che aveva, come unico problema, quello di non saper come gestire i suoi sentimenti e i suoi desideri - un suo alter ego a cui ora vorrebbe solo stringere la mano per salutarlo come si deve, come un fratello maggiore che già ha visto il peggio della vita. Ed è di Midori che vorrebbe parlare con Kōtaro, vorrebbe guardare a quel fatto con i suoi occhi, per capire se c’è un modo per sopportarlo meglio.

    Tutto questo, tuttavia, non esce minimamente dalla sua bocca. Le mascelle sono serrate, la lingua è immobile, i denti sono una gabbia. Forse, però, qualcosa trapela perché Kōtaro adesso non parla più ma lascia che le sue mani calino sul legno del tavolo, aperte, bellissime.
    Le tazze tremano, qualcuno si gira a guardarlo.

    “Keiji-san… che cos’hai?”
    La domanda è semplice e diretta ed è anche impossibile rispondere.

    Sono quasi le tre. Keiji sente che lo zigomo ricomincia a pulsare. Deve andare o morirà a quel tavolino. Deve dormire, deve sognare qualcosa che non lo porti ossessivamente alla ricerca di nuove, impossibili calligrafie sulla strada che ha inghiottito sua sorella.
    Deve spegnere cuore e cervello, scendere da quel treno.
    Si alza, anche se vorrebbe restare inchiodato alla sedia.
    “Bokuto-san… è molto tardi e io devo tornare a casa.”
    Anche Kōtaro si alza.
    “Ti accompagno? Sei certo di stare bene? Sono un po’ preoccupato…”
    “Accompagnami al parcheggio dei taxi. Basterà un po’ di aria fresca adesso e una buona dormita stanotte. Devo riposare perché fra due giorni sono di nuovo di partenza.”
    “Parti… già?”
    “Sì. Sto lavorando a Morioka. La mia casa editrice ha una sede distaccata.”
    Una specie di ripostiglio dove correggere bozze e sistemare refusi. Un posto più tranquillo - così ha deciso la commissione medica aziendale - ma non glielo dice, anche perché lo sguardo deluso di Kōtaro in quel momento gli stimola una tale ondata di serotonina che ingolfa i suoi centri nervosi sovrastimolati dall’infiammazione.
    “Keiji…”
    Ancora una volta il suo nome!
    “Posso, chiamarti, domani…? Magari, se ti senti meglio ci vediamo. Ti va?”
    “Sì”
    “Ma non ho più il tuo numero…”
    “Lo so. È che…”
    Keiji abbassa la testa e si vergogna del ghosting che ha inflitto a tante persone.
    “Non importa. Avrai avuto le tue buone ragioni per sparire e io non provo rancore… però… ecco… potresti decidere di non sparire più?”
    “Mi dispiace… Kōtaro. Mi dispiace essere sparito.”
    Lui spalanca gli occhi. “Dai, non parliamone più! Ci sentiamo
    domani.”
    Dopo essersi scambiati i cellulari, si salutano al posteggio dei taxi.

    In macchina, Keiji si lascia finalmente andare e piange silenzioso mentre la sua anima accartocciata piano piano si stira al pensiero di Kōtaro che lo chiamerà l’indomani, che tutto sembra essere ricominciato esattamente dal punto in cui aveva tagliato i ponti.
    Che il Keiji Akaashi di dieci anni prima, che voleva salutare, lo aspetta ancora.
    Quando scende dall’auto, osserva il cielo. Un’ombra lattiginosa lo ha invaso, e una lama di vento insistente scuote alberi e foglie. L’aria è elettrica e la pioggia arriverà sicuramente prima.
    L’emicrania del resto non sbaglia mai, semmai rifà i propri calcoli incessantemente.
    Akaashi decide di non voler più calcolare nulla.





    L’indomani, dopo una notte particolarmente agitata, Kōtaro si sveglia allo squillo del cellulare sul comodino.
    È Tetsurō, che dice di cose che deve raccontargli.

    Kōtaro non è mai stato possessivo con il suo Bro-Scopamico e, dopo aver ritrovato Keiji per un caso assolutamente fortuito, men che mai si sente di fargli pesare il fatto che la sera prima lo abbia lasciato da solo, eppure si diverte a piagnucolare per finta di tristezze e abbandoni e lo fa con le grandi doti attoriali di cui è famoso in campo.

    Intanto, in boxer e maglietta, scalzo e con in capelli che sembrano saltati in aria sopra una mina, si prepara una scodella di latte e cereali e racconta al Bro di Keiji e della strana impressione che gli ha fatto, risucchiando rumorosamente un primo cucchiaio di sbobba.
    E poi rischia di strozzarsi quando Tetsurō, dal nulla, gli dice Bro. Keiji è sempre stato innamorato di te. Sei un caso disperato…

    Con Tetsurō normalmente non parla d’amore, gli vuole un bene dell’anima e ci fa occasionalmente sesso, ma l’amore semplicemente… non saprebbe come rappresentarselo né come discuterne.

    Non crede di essersi mai innamorato in vita sua e se prima di scoprire le gioie del sesso occasionale con il centrale del Nekoma aveva frequentato qualche ragazzina delle medie o al liceo, paccandoci a tempo perso, non ha mai pensato a un altro essere vivente come possibile oggetto di una devozione maggiore. Unica. Esclusiva.

    È in dubbio se scaricare addosso al Bro altre domande, ma lui ora farfuglia di dinosauri e allora taglia corto.
    Anche perché è il suo cervello che è in corto.

    Si infila nella doccia e se chiude gli occhi vede quelli di Keiji.
    Innamorato di lui? Impossibile, sono anni che non si vedono, la parola sempre non ha forse bisogno di appigli concreti? E poi Keiji non ha mai detto, fatto nulla per…

    Sì, è sempre stato gentile, però.
    È sempre stato accanto a lui.
    Lo ha sempre aiutato nei momenti difficili.
    Gli ha messo felpe sulle spalle e sciarpe attorno al collo.
    Non gli ha fatto prendere né troppo freddo né troppo caldo.
    Ha smesso di alzargli la palla quando andava in burnout.
    Ha ricominciato ad alzargliela al momento giusto, un momento che sapeva riconoscere solo lui.
    Gli ha sempre aperto una via sotto rete.

    Ha tirato fuori il massimo da lui.
    Perché ha sempre creduto in lui.

    Perché Keiji è… Keiji.

    Kōtaro non si accorge nemmeno di aver chiuso il rubinetto della doccia. Resta immobile a sgocciolare acqua dai capelli ingombranti. Sente di nuovo la volgare pompa che batte forte e si fa strada in lui un pensiero fragile, talmente fragile che ha paura di frantumarlo se muove la testa. Un pensiero che è una sottile… speranza.

    Non ha mai avuto pensieri del genere per nessuno e la cosa lo conforta perché non ha esperienza né di successi né di fallimenti.

    Non sa individuare neanche un pretesto in particolare perché ne ha troppi fra cui scegliere. Troppi sguardi blu, troppi sorrisi, troppi gesti delicati e discreti - è incredibile!! Ha trovato la parola giusta al primo colpo! - troppi consigli dati con voce calma e rassicurante.
    E poi: la festa del diploma, i suoi occhi blu che brillavano come biglie lucide, le sue parole ridotte a zero, il suo no fermo e risoluto quando gli aveva proposto di riaccompagnarlo a casa. Lo sguardo sorpreso e grato quando gli aveva regalato la sua maglia numero 4.

    Kōtaro è ancora in accappatoio, sdraiato sul letto. Non riesce a fare nulla di pratico perché ha le mani occupate a frugare nel passato.

    Recupera gli ultimi momenti in cui lo ha avuto accanto, non riesce a capire come siano diventati poi attimi tutti virtuali, foto, chiamate al volo fra impegni di chissà quale importanza.
    Non capisce perché quegli attimi si siano fatti sempre più rari, non capisce perché si siano allontanati.
    Non capisce perché abbia permesso che lui
    si allontanasse.

    Non capisci un cazzo, Bro è il mantra di Tetsurō che ormai suona quasi come buongiorno o buonasera nelle sue orecchie.

    Ebbene sì, probabilmente non capisce davvero un cazzo che non sia come fare una caterva di punti o sistemarsi quei capelli assurdi.
    Deve parlare di nuovo con il suo Bro.

    Si affaccia alla finestra della sua camera da letto. Il cielo è grigio e fermo ma non sembra voglia piovere. La giornata però è brutta e mette a rischio qualsiasi idea da proporre a Keiji.

    Prende il cellulare e lo chiama, al diavolo.

    “Bokuto-san…”
    La voce dall’altra parte è bassa e forse ancora sofferente.
    “Oh scusa… ti ho svegliato? Scusa!”
    “No, no, ero già sveglio da un po’…”
    “Come ti senti?”
    “Meglio, grazie. Stavo lavorando.”
    “Ah, Scusa!”
    “Bokuto-san…”

    Ma Kōtaro è un torrente, si sente una merda. Non lo ha più cercato per anni. Non ha fatto neanche lui un piccolo passo ed è sempre stato lui, dei due, quello ad avere il passo più lungo. Poteva cercarlo, poteva trovarlo. Il minimo che ora possa fare è scusarsi. Non lo ha fatto ieri sera, lo fa in questo momento.

    “Scusami… scusami, Keiji!Scusami…”

    Keiji resta in silenzio. Poi risponde. Deve aver capito, forse.
    No, ha capito sicuramente, perché lui capisce tutto.

    “Non devi scusarti. Davvero… invece, come stai tu ?”
    Kōtaro è infreddolito. I piedi, soprattutto, che sono ancora umidi.
    “Non lo so. Mi sento strano, forse è questo tempaccio.”
    “Tu sei sempre stato sensibile al maltempo, in effetti. Ma per te è un fatto di… umore. Io invece sto male per gli sbalzi di pressione atmosferica.”
    “Stai male anche ora?”
    “No… però già ieri sera sapevo che fra oggi e domani sarebbe piovuto…”
    “Hey, ma chi sei, il dio della pioggia?”
    “Più o meno.”
    La voce di Keiji è un sorriso invisibile, un sussurro caldo, che lo asciuga all’istante.
    “Quando riparti?”
    “Domani mattina.”
    “Ti va se oggi ci vediamo?”

    Un rombo. Poi un altro. Sono ancora leggeri, piccoli avvisi di quanto si verificherà presto.

    “Mi piacerebbe molto. Ma con questo brutto tempo…”
    Kōtaro pensa e poi dice, senza tentennare. Organizza e risolve.

    Vede in lontananza un letto a castello e loro due che si passano la palla, nella piccola stanza dell’Accademia.
    Vede manga sul pavimento, blocchetti con gli schemi a rete, vede i suoi calzini appallottolati e quelli invece ordinati di Akaashi Keiji.
    Vede la sua giacca spiegazzata appesa alla sbarra del letto e quella di Keiji appesa alla gruccia.
    Vuole esattamente quello.
    Chiude gli occhi e stringe i pugni.
    “Vieni a cena da me, ti fermi a dormire e domattina riparti da qui.”
    Keiji respira piano. Non risponde subito e Kōtaro pensa di aver fatto un passo troppo lungo. Ma poi lui risponde:
    “Hai per caso un letto a castello, Bokuto-san?”
    “No!... però ho un divano letto spaziale!”
    “Allora mi adatterò.”

    (continua…)
  4. .
    Proseguiamo ☺️

    Capitolo 2 - Inaspettato


    Kōtaro è in fondo un ragazzo semplice.

    Lavoratore instancabile, quando si allena è capace di rimanere per ore a schiacciare diagonali e parallele, con il suo braccio destro che sventaglia veri e propri missili Katyusha.
    Forse è meno veloce e agile di Hinata ma i suoi colpi sono micidiali, rumorosi, eclatanti. Lo sono anche i suoi servizi al salto, quando li schiaccia l’aria stride al passaggio della palla, che dopo il rimbalzo sul parquet semplicemente fugge via, come se non volesse più avere a che fare con quella mano terribile. E i suoi compagni di squadra lo ammirano senza pudore, specie quando è l’ultimo a lasciare il campo. Fischiano, si gettano ai suoi piedi, lo adorano come una divinità pagana con la faccia di un gufo e il corpo di un ciclope. Solitamente, il carnevale finisce quando Atsumu Miya, che è il suo alzatore, si rompe definitivamente le palle. Anche basta!Gli dice imitando i gesti dell’arbitro che fischia la fine del set.
    Kōtaro allora capitola e accetta di andarsi a fare una doccia e nel mentre continua a saltellare e a scambiare versi strani con Hinata, l’unico che sembra capirlo davvero. Del resto, secondo Miya e Sakusa, entrambi fanno parte dello stesso regno animale.

    Dopo un allenamento, per quanto duro, Kōtaro si concede sempre
    un pasto abbondante, meglio se con i compagni di squadra.
    E poi un cinema, a volte, o un locale. O una passeggiata senza meta, per risucchiare nelle sue iridi spropositate le luci impazzite della città. Adora i colori, il casino, l’allegria senza capo né coda della sua città, adora viverci.

    E poi, a volte, ha anche una sana voglia di sesso.

    Kōtaro è semplice anche nelle questioni sentimentali. Non è innamorato di nessuno, è una specie di asceta mezzo monaco mezzo schiacciatore laterale che tuttavia tiene in grande considerazione le sue pulsioni sessuali, che rispetta e sente essere parte integrante del suo carattere così espansivo, e sa perfettamente quando dare loro sfogo e con chi.

    Tutte le volte, lui e Tetsurō Kurō si dicono che fra amici normalmente non accadono certe cose.
    Fra amici si esce a fare danni, si va a un concerto, a una festa. O semplicemente si chiacchiera sul divano davanti a una partita con una birra in mano. Insomma, non si finisce a letto insieme!
    E invece, tra loro due queste cose accadono. Accadono anche con altri, in verità, ma con Kurō è diverso, sono due perfetti scopamici (così li chiama Kenma Kozume, l’unico che lo sa - “Ma la vostra è una BokuKurō o una KurōBoku? Insomma, chi sta sopra e chi sotto?”. E loro due neanche si imbarazzano “È riduttivo!……”).

    Lo hanno fatto insieme per la prima volta, ai tempi del liceo. La loro prima volta in assoluto.

    La curiosità e la voglia poteva venirgli solo con il suo Bro, sudati dopo una partita e senza apparentemente altri desideri nei quali incanalare endorfine e adrenalina. Uno sguardo sornione, qualche battuta nell’aria da qualche giorno, un paio di commenti sulle ragazze così insignificanti che conoscevano, un paio di birre scure invece di una sana bevanda proteica e a casa di Tetsurō ci erano andati giù dritti, si erano strappati le tute di dosso, erano caduti dal letto, si erano rotolati sul tappeto.
    Avevano riso della situazione prima, dopo e durante.
    Prima perché ammettere con gioia di essere entrambi attratti dal loro stesso sesso li faceva sentire ancora più complici. Dopo perché potevano commentare il fatto compiuto senza ipocrisie.
    Durante perché… beh, giocare con Kurō senza vestiti addosso era stato come spararsi cinque set ai nazionali senza time out.

    Bro, posso fare… questo…?
    Mmm… Sì…
    E questo?
    … questo lo faccio prima io!
    Bro…. Ti piace?
    Tu che dici…
    Dico che….


    Si erano dati del tempo per capire se c’era altro oltre a ormoni e follia ma no, non c’era altro. Si volevano bene e basta e farlo era talmente divertente e liberatorio che ci erano ricaduti.
    Ci ricadevano.
    Spesso.
    Per questo quel sabato sera, a Sendai, Kōtaro telefona al suo Bro, che però lo manda in bianco. Ci può stare, se ha da lavorare - e anche lui non è a Sendai per svago ma per una questione di ingaggi a cui peraltro non darà seguito: c’è andato solo per una semplice formalità, nei Jackals sta da dio e vuole rimanerci ancora a lungo.
    E allora decide di ripartire subito per Tokyo, prende al volo l’ultimo Hayabusa che ci mette pochissimo, ed è talmente stanco che crolla quasi subito, sente quel languore che gli fa desiderare il suo nido in pieno centro, con le finestre insonorizzate e i suoi cuscini morbidi.
    Si addormenta in una carrozza che lentamente si svuota, cullato dall’andatura uniforme del treno.

    Lo sveglia il tocco gentile del capotreno, un uomo sulla sessantina, solenne, elegante, in guanti bianchi.
    Lo ringrazia, si stiracchia aprendo le braccia, getta nella pattumiera i resti della sua cena, afferra il borsone e scende.

    La banchina è abbastanza affollata perché sul binario adiacente nel frattempo è arrivato un altro treno.
    Cammina lentamente quando all’improvviso quelli davanti a lui si fermano tutti e si allungano a guardare, come se un ostacolo fosse comparso improvvisamente a fermare il loro flusso ordinato. C’è infatti un ragazzo per terra, con un trolley rovesciato e uno zaino aperto, il cui contenuto è sparpagliato sul cemento, e sembra essere in difficoltà.

    Kōtaro è alto e piazzato, si infila fra i curiosi, sbircia e poi nota qualcosa di familiare. Deve essere la forma delle spalle, o il colore e il taglio dei capelli, o il profilo, ora che lo guarda meglio.
    La linea delle labbra, strette e tirate nei momenti difficili. Gli occhi sottili. E le sue mani che brancolano aperte sul cemento, mani che conosce benissimo.
    È Keiji Akaashi.

    Lo chiama, si avvicina, si abbassa fino a inginocchiarsi accanto a lui. Akaashi è confuso eppure, stranamente, non sembra sorpreso di vederlo.
    È Kōtaro quello sorpreso.

    Sa che quello è Akaashi eppure è diverso, una specie di Non-Akaashi.


    Più magro, dimesso, disordinato. E Akaashi è tutto fuorché disordinato: è un ragazzo che brilla per la sua organizzazione, è l’anima del Fukurodani, è il luogotenente del coach. È colui che ha sempre tirato fuori il meglio dalla sua maglietta numero 4.

    Kōtaro non è mai stato bravo con le parole perché ne dice oggettivamente troppe e tutte insieme, smonta le orecchie a chi gli sta intorno, la sua è una comunicazione irruenta e convulsa.
    E in questo momento, tutto ciò che Akaashi ha sempre rappresentato per lui si sovrappone alle sensazioni che gli dà questo strano ragazzo inginocchiato sulla banchina, che porta il suo stesso nome e che ha il potere di silenziarlo letteralmente.

    Sono almeno due anni che Kōtaro non lo vede e non lo sente. A un certo punto il suo numero non ha mai più squillato e forse sta proprio lì la causa di questo senso di estraneità nella familiarità che lo fa ammutolire.
    Due anni che improvvisamente gli sembrano infiniti. Due anni che anche lui ha contribuito a scavare perché non lo hai mai cercato.

    Tende allora le mani verso di lui e lo aiuta a tirarsi su, anzi lo prende fra le braccia e subito nota che è più leggero di come se lo ricorda. Quando, in partita, dopo un punto, lo abbracciava e lo sollevava, sentiva i suoi muscoli tonici e guizzanti, meno sviluppati dei suoi ma allenati e armoniosi. Ora invece lo sente fragile, dimagrito. Diminuito.

    Raccoglie le sue cose sparpagliate, lo convince a fermarsi con lui a bere un tè. Gli porta zaino e trolley e nel mentre lo osserva.
    Sono soprattutto le spalle a colpirlo. Sempre larghe e sottili ma impercettibilmente curve. Il suo passo è sempre tranquillo ma affaticato. Cammina a testa bassa, come se stesse cercando qualcosa che ha perso e non riesce a ritrovare.

    Kōtaro non se lo sa spiegare in maniera esauriente - di solito con le parole non è bravo neppure a parlarsi da solo, va in confusione abbastanza facilmente, ecco perché a volte si smonta e l’intera squadra lo vede afflosciarsi senza un motivo apparente - ma il suo amico Akaashi in questo istante lo colpisce dritto in un punto del suo petto che normalmente lavora in maniera meccanica (il cuore è una volgare pompa che si comprime e si decomprime, diceva il suo professore di scienze all’Accademia). Decide che, qualsiasi cosa abbia Akaashi, resterà lì con lui, nonostante sia quasi l’una di notte. Decide di aver curadi lui ma in maniera discreta, di tenere la voce bassa. Soprattutto, decide di ascoltarlo, semmai vorrà parlargli.

    In stazione, entrano nel primo bar che trovano aperto. Un bar per viaggiatori anonimi, neon sparati a palla e musica commerciale, nonostante l’ora tarda.

    Una cameriera che sbadiglia porta al loro tavolo un vassoio con il tè e un paio di sandwich e poi sparisce.

    Kōtaro intanto si vede dall’esterno e non si riconosce. Normalmente, avrebbe già preso con lui un normalissimo discorso sul più e sul meno, adatto a una conversazione fra vecchi amici che il caso ha fatto ritrovare, ma non riesce a trovare un pretesto per iniziarla.

    La sua mente visualizza una specie di gomitolo del quale non trova il capofilo, il suo cuore rimbomba di qualcosa di strano perché è strano lo sguardo di Akaashi. Kōtaro non è bravo con le parole ma l’istinto lo avvisa che il suo amico sta ancora male e forse non è solo per l’emicrania.
    E, cosa inaudita per lui, Kōtaro continua a restare in silenzio.

    È Akaashi il primo a parlare.

    “Grazie, Bokuto-San. Un tè caldo era quello che mi ci voleva.”
    “Ma ti pare, Akaashi! Sono pur sempre un tuo senpai!!” E via sgranare gli occhi e a puntarsi il pollicione sul petto.
    Kōtaro sente lentamente riaggiustarsi la sintonia con il suo solito io, il chiacchierone infinito, e il motivo è il sorriso appena accennato ma infinitamente dolce di Akaashi, che gli fa sorridere anche gli occhi.

    Quegli occhi infatti non sono cambiati, sono sempre sottili e blu, pacati. Kōtaro li accoglie nei suoi, dopo anni in cui praticamente li ha visti solo in pessime foto caricate sulla chat del Fukurodani e poi neanche più in quella.
    Sotto quei neon sono naturali, bellissimi. Gli sono mancati.

    La volgare pompa intanto accelera ancora.

    “Beh… allora come te la passi?”
    “A parte l’emicrania? Bene…”
    “Ma non sapevo che ne soffrissi! Voglio dire, per due anni siamo stati ins… cioè abbiamo giocato insieme, dormito nella stessa stanza…”
    “In quei due anni non ne ho sofferto quasi mai.”
    “Già, me ne sarei accorto… anche se di solito eri tu quello che in generale si accorgeva di tutto…!”
    “Mi venivano soprattutto durante le vacanze o quando viaggiavo con i miei. Quando ero… lontano, insomma…”
    “E ora che siamo vicini? Come ai vecchi tempi!!” Tuona Kōtaro.
    La risposta che si aspetta è qualcosa del tipo e ora sto meglio ma l’emicrania mi ritornerà presto se non abbassi il volume, Bokuto-san e invece Akaashi risponde con un filo di voce chiudendo gli occhi “Continua a parlarmi, Bokuto-san.”
    Kōtaro allora non se lo fa ripetere due volte e lo sommerge di parole, letteralmente.

    Gli racconta di tutto, di più. Il capo del gomitolo è finalmente nelle sue mani e comincia a dipanarsi. Gli parla dei Jackals, della nazionale. Di come vive, dei vecchi compagni di squadra. Apre i cassetti della memoria e tira fuori di tutto, a mani basse.
    La Golden Week, le partite di qualifica, quel giorno che aveva dimenticato come si schiacciava una diagonale.
    Le sue depressioni estemporanee, passate alla storia del club di pallavolo del Fukurodani.
    La grigliata con il Karasuno, lo Shinzen, il Nekoma e l’Ubugawa.
    La sera in cui faceva freddo e Akaashi lo ha fatto rientrare in albergo perché non si ammalasse.
    E lentamente, con naturalezza, all’inizio senza rendersene conto, Kōtaro inizia a tirare fuori storie e ricordi che riguardano loro due soltanto.
    Ne è già consapevole, a modo suo, a livello istintivo, ma è mentre ne parla che comprende l’estensione di Akaashi nella sua vita, quanto sia ancora presente e importante.
    E un sentimento inaspettato si infila fra quelli che lo riguardano e a cui è già abituato: prova una terribile nostalgia. Gli manca anche se è lì, di fronte a lui, avvolto da un mistero insondabile, e sembra maledettamente fragile, talmente fragile che teme che la sua voce potente possa incrinarlo.

    Capisce poi che anche Akaashi gli sta parlando ma solo con gli occhi, i quali pur restando dolci si fanno impercettibilmente sempre più lontani ogni minuto che passa. È come se qualcosa lo stesse trascinando nuovamente in stazione, verso un binario qualsiasi che lo aspetta per portarlo chissà dove. Anzi, ci sta già andando chissà dove. È il posto da dove è venuto, il posto in cui ha vissuto da solo per tutti quegli anni.

    E a quel punto, Kōtaro si ferma, punta le mani sul tavolo e fa tremare le tazze ormai vuote.
    E poi glielo chiede, diretto e serio: “Keiji-san… che cos’hai?”


    Shoyo Hinata, dopo aver passato due anni in Brasile a giocare a beach volley, viene preso dai Jackals. La squadra è molto forte, grazie anche alla presenza di Miya, alzatore, e Sakusa, schiacciatore. I ragazzi si conoscono tutti dai tempi del liceo, quando si affrontavano al Torneo Nazionale.

    Kenma Kozume è il miglior amico di Tetsurō. Ex alzatore del Nekoma, dopo il liceo lascerà la pallavolo e diventerà esperto di videogiochi e influencer.


    (Continua…)
  5. .
    CITAZIONE (SusinoSan @ 5/5/2024, 01:55) 
    Come già ti dissi questa storia mi fa venire le lacrime agli occhi :commozz: è veramente commovente.

    Tutta la parte su Midori ...
    E vedo la fragilità di Akaashi nel suo non poter chinare la testa mentre tenta di raccogliere le sue cose sparse a terra ... e Bokuto che raccoglie tutto per lui <3

    :commozz:

    Grazie <3
    È una storia di incontri con il destino, in effetti, per quanto Akaashi tenti di ricondurre il tutto a una serie di eventi che si susseguono e si trasformano in fatti.
    Quel treno doveva essere il primo assaggio di un cambiamento *_*
  6. .
    Tanti auguri 🥳
  7. .
    Ciao :bye: .
    Ecco lo spin off della storia pubblicata qualche giorno fa, dal titolo Di gatti, dinosauri e chiari di luna, ma si può leggere anche da sola.
    Siamo sempre nel mondo Haikyuu e i protagonisti sono Kōtaro Bokuto e Keiji Akaashi.
    Kōtaro e Keiji giocavano al liceo nella stessa squadra, il Fukurodani, rispettivamente schiacciatore laterale e alzatore.
    Io me li immagino esattamente dieci anni dopo il liceo - come per Tetsurō e Kei nella storia "principale" - della quale condividono cronologicamente gli stessi momenti.

    Come per le altre storie legate a questo fandom, qualche avvertenza d’obbligo: anche in questo caso, intreccio shonen-ai, linguaggio in minima parte “esplicito” e qualche tematica delicata.

    Per chi apprezza e ha domande sulla storia, son qua :bye:




    Titolo: Il dio della pioggia

    Autore: Bathsheba Everdene

    Protagonisti: Kōtaro Bokuto e Keiji Akaashi

    Breve Descrizione: Un incontro imprevisto e quel che viene dopo

    Numero di Capitoli: 6

    Contiene Spoiler: Per chi non ha letto "Haikyuu", sì

    Contenuti Erotici: Accennati







    Capitolo 1 - Con i guanti bianchi


    Triptano, pensa Keiji Akaashi mentre uno sbadiglio gli regala uno spasmo doloroso lungo lo zigomo.

    L'aura gli accarezza già la parte destra del viso e fra meno di quarantotto ore pioverà, ne è certo.

    Soffrire di emicrania, in fondo, è come avere capacità divinatorie.

    O forse, più semplicemente, è come avere una stazione barometrica trapiantata nel cervello? Fatto sta che ogni volta che Keiji accoglie il mostro in uno dei suoi emisferi, quello poi gli regala la pioggia: sono infatti gocce salate di dolore quelle che gli scivolano dall’occhio lungo la guancia e che preludono alle lacrime che cadranno dal cielo.

    Gli viene in mente Emily Tallis, in Espiazione. La sua emicrania descritta da Ian McEwan in maniera sublime come “una pantera in gabbia che si sposta indifferente alla sofferenza per il solo fatto di essere sveglia, per noia, per muoversi e basta, o per nessuna ragione, e senza alcuna consapevolezza”.

    Keiji odia la sua emicrania ma ne adora comunque le potenzialità letterarie. La sua, però, non è rappresentata tanto da una pantera quanto da un serpente, un serpente colorato che entra con prepotenza nella sua testa e scivola finché non raggiunge quel punto esatto che inizia poi a pulsare e che Keiji vorrebbe estirpare con le sue stesse mani.

    Piange senza volerlo, senza saperlo, quasi.

    Si asciuga le lacrime con un fazzoletto che ha in tasca, le soffia via dal naso mentre cede a un altro sbadiglio e con mano impaziente fruga nello zaino.

    Non ha la forza di guardarci dentro e le dita allora vagano e faticano fra gli appunti, il tablet, i resti di un panino, un libro, finché non trovano sul fondo una scatolina di cartone con una scritta stupida sopra, come lo sono tutte le scritte sulle scatole dei farmaci.

    La apre e tira fuori un blister tutto accartocciato e sprimacciato, che però contiene per miracolo un’ultima pasticca. La promessa della redenzione, la radice a cui afferrarsi mentre il terreno sprofonda.

    La manda giù a secco e aspetta. Serpente o pantera, quella è la gabbia, calata dall'alto sul mostro.

    Effetto rapido.

    Passano quindici minuti e il malessere si attenua, anche se non sparisce. Il grilletto non scatta più ma il suo sistema nervoso rallenta e la visione a destra resta offuscata anche se le lacrime cessano.

    Fra meno di quarantotto ore pioverà.
    Fra meno di quaranta minuti arriverà in stazione.
    Oggi sono due anni senza Midori.

    Sua sorella non aveva mai sofferto in vita sua di emicrania, eppure quando a Keiji veniva l’aura la sentiva anche lei.

    Capita, a volte, tra fratelli.

    Capita anche di morire e sopravvivere, e Keiji è il sopravvissuto, la sua aura in questo è una prova incontrovertibile.

    Anche la fortuna di aver trovato quell’ultima pasticca è una prova, la fortuna di non esserne sprovvisto, la fortuna di non aver attraversato la strada, come Midori, nel preciso istante in cui una macchina impazzita le veniva incontro, partita chissà quanti anni prima per raggiungerla proprio lì.

    Per nessuna ragione.

    Come la pantera della signora Tallis, ma più veloce.

    Quando sua madre lo aveva chiamato per dirgli di Midori, Keiji era in ufficio e era corso veloce in ospedale pur sapendo che il grilletto era ormai scattato, che la pantera era balzata con le fauci aperte e che la morte aveva preso ciò che doveva prendere. Era inevitabile, dopotutto si trattava di uno schianto ad almeno 80 km orari e prova ne era la lunga striscia di pneumatici sull’asfalto, sfumata verso la fine, come il tratto spazzolato in un'opera di calligrafia.

    Keiji aveva ragionato subito in termini di probabilità, per far sì che la disperazione non lo ingoiasse subito con un boccone solo, e aveva deciso che si era trattato sicuramente di un caso: non c’era stato un accanimento del destino, non si era trattato di sfortuna ma di una somma casuale di eventi che si erano trasformati in un fatto.

    È un fatto anche che Keiji abbia sofferto di depressione, un fatto naturale e necessario.

    È naturale che per un certo periodo di tempo abbia lavorato poco perché a corto di idee, è naturale che la sua casa editrice lo abbia messo a correggere bozze in un ufficio distaccato, per fargli cambiare aria. È naturale che diverse volte si sia svegliato di notte sudato e con il cuore in gola, sognando di guidare quella macchina e di sterzare. Di disegnare un tratto nuovo sull'asfalto.

    È naturale che abbia tagliato i ponti, finto di avere impegni, cambiato telefono, cancellato numeri.

    Un fatto a tempo indeterminato con cui ormai convive senza problemi.

    Si alza per andare alla toilette a sciacquarsi il viso.

    Il bagno della sua carrozza è fuori servizio ma quello della carrozza a fianco funziona ed è pulito - meno male, perché l’emicrania accentua la sua percezione dei cattivi odori.

    A quell’ora il treno è semivuoto, in parecchi sono già scesi.

    Si sciacqua il viso, esce dal cubicolo e naviga a ritroso per tutta la carrozza, sballottato come su di una scialuppa in mare aperto. Il triptano fortunatamente ottunde i sensi e anche i riflessi vagali, per cui la nausea è sotto controllo.

    Accade allora qualcosa che ha sempre a che fare con gli eventi che si sommano casualmente e si attestano poi come fatti.

    È un fatto che nella carrozza dopo la sua, verso la coda del treno, ci sia Kōtaro Bokuto, con la sua tuta dei MSBY Jackals, che dorme occupando quasi due posti. Keiji si ferma reggendosi con una mano al poggiatesta del sedile di fronte e resta in muta contemplazione di ciò che ha davanti.

    Kōtaro è immenso. Una gamba allungata sotto il tavolino, l’altra piegata e aperta, a mostrare l’interno della coscia, tesa e muscolosa. Le spalle sono rilassate, larghe. Accoglienti.

    La testa è reclinata verso il finestrino, dalle orecchie scende il filo degli auricolari. Le braccia, massicce, sono incrociate sul petto.

    Quando dorme è serio. Solenne, quasi.

    Il suo borsone giace sul sedile di fronte. Accanto, una busta di carta di una nota catena americana di caffè e dolci a buon mercato.

    Che schifo, ma ci può stare, Kōtaro è goloso.

    Keiji resta immobile e ringrazia il triptano perché gli rallenta tutto (tutto tranne il cuore, che corre esattamente come quel treno) e lo salva dalla tentazione di allungarsi su di lui e di svegliarlo con un colpetto sulla spalla, perché l’orologio dice che il treno è quasi arrivato a Tokyo e Keiji quando si tratta di Kōtaro si preoccupa sempre. Per un lungo istante, che lo tende come una corda, teme che il suo senpai rimanga a dormire sul treno, ma è solo un attimo. Sono finiti i tempi in cui Keiji interveniva sul continuum spazio-tempo per adattarlo a Kōtaro. Per farlo stare bene.

    Indietreggia di un passo, poi di un altro passo.

    Ci penserà il solerte capotreno, semmai, a svegliarlo con le sue mani inguantate di bianco, si è appena ricordato che il treno muore a Tokyo. Qualcuno lo salverà.

    Poi però smette di indietreggiare e si ferma.

    Keiji osserva ora le sue mani. Quante volte hanno salvato Kōtaro? Quante volte gli hanno alzato un punto, scatenando felicità, godimento, esaltazione laddove solo poco prima c’era stato smarrimento, difficoltà, estraniamento? Quante volte gli ha gridato tua, Bokuto-san!

    E perché ora è così difficile svegliarlo? Perché abbandonarlo al capotreno?

    Perché non lo ha mai cercato per dirgli di sua sorella?

    Negli anni si sono sentiti molto sporadicamente e Keiji non gli ha mai scritto nulla di personale, solo complimenti per le sue vittorie, auguri di compleanno e buon anno.

    Ha scritto soprattutto nella chat assurda che condivideva con gli ex compagni di squadra, i “🦉🏐Fukurodani Boys🏐🦉”.

    Cose da rimpatriata virtuale una volta ogni tanto, con un paio di giorni di messaggi fiume e poi silenzi lunghi mesi.

    Ti ricordi quel punto? Quella finale! Quel muro del Nekoma, il niente-tempo dei gemelli Miya!

    Sì, mi ricordo. E non provo nulla. Io non ci sono più.

    Poi, dopo Midori ha cambiato telefono e numero. Non ha importato la vecchia rubrica, solo il numero di Kōtaro che ha salvato come una reliquia ma che non ha mai chiamato.

    Un calo di tensione fa sfarfallare le luci.

    L’occhio destro è affaticato, semichiuso. Keiji si specchia nel vetro del finestrino e rabbrividisce: ha la barba cresciuta e in disordine, mezzo viso in parestesia, è vestito male. È inguardabile, se anche ci fosse una sola ragione valida per guardarlo.

    Riprende ad arretrare, quasi corre per tornare al suo posto.

    Ragiona sul da farsi: deve arrancare fino alla prima carrozza, in modo da scendere all’inizio del binario. E poi camminare veloce e perdersi nella folla. Un piano di semplice attuazione anche per uno che ha solo mezzo cervello funzionante e solo un occhio veramente aperto.

    Raccoglie zaino e trolley. Il cuore ormai va per conto proprio, l’ansia lo stritola, è come se sapesse che da un momento all’altro possa venire scoperto e catturato come un ladro. Come uno che ha da nascondere qualcosa.

    Il treno si ferma.

    Scende. Finisce in mezzo alle rapide di bagagli e gente che si saluta e si bacia. Cammina con difficoltà finché non inciampa e rovina sul marciapiede. Lo zaino è aperto e gli vola via tutto, anche gli occhiali.

    “Cazzo!” Geme. Se si abbassa e, soprattutto, se abbassa la testa, non si rialzerà mai più.

    Inizia a recuperare a tentoni gli oggetti sparsi intorno a lui, come se fosse diventato improvvisamente cieco, finché non sente una voce conosciuta che pronuncia il suo nome.

    Akaashi!
    Sei tu??


    La voce è immensa. Kōtaro ha un apparato di fonazione che produce suoni profondi e forti anche senza gridare. Possiede proprio un volume alto di suo e lo sente nonostante il vociare della folla che li circonda e la motrice dello Shinkansen Hayabusa che ancora fa rumore.

    Akaashi!

    Non ha più importanza se sia una pantera o un serpente a soffocare la sua lucidità. La mente si sintonizza su quella voce, quelle note gravi e solide che escono dalla glottide di Kōtaro e che si strutturano nella sua bocca.

    Un’ombra cala intanto su di lui, accanto a lui.

    “Akaashi, sei davvero tu?”

    Keiji geme di nuovo.

    “Non… non posso abbassare la testa. Non posso raccogliere nulla.”

    “Ti senti male??”

    “No. È l’emicrania. Ora mi passa.”

    “Aspetta, ti aiuto ad alzarti. Appoggiati a me!...”

    Ma Keiji non si appoggia, è Kōtaro piuttosto che lo agguanta e lo raddrizza. Keiji si sente improvvisamente come disarticolato, leggero. Kōtaro lo fa sedere su una panchina poco distante e si mette pazientemente a raccogliere tutto quanto è ancora disperso sulla banchina.

    Poi siede accanto a lui, con lo zaino in grembo.

    “Akaashi, dimmi ti senti meglio? Ma da dove vieni?”

    “Da Morioka. Per lavoro.”

    “Io da Sendai! Pensa che ho quasi beccato Tetsurō… ma poi… vabbè lasciamo perdere!!” Esclama a voce alta. “Da quanto tempo non ci vediamo? Il tuo numero…” Aggiunge poi ma con un tono più basso, meditabondo, guardando nel vuoto, come se davanti ai suoi occhi, anziché il cemento della banchina, ci fosse un abisso di eternità.

    Keiji si chiede la stessa cosa. Da quanto tempo non sente il suo respiro che a riposo è lento, profondo? Da quanto tempo non incrocia quegli occhi grandi, gialli, che sprizzano follia, che ti disarmano quando sono allegri e che ti sciolgono quando si fanno tristi?

    Forse da prima Midori… sicuramente, anzi.

    “Da un po’... è vero.” Risponde poi con un filo di voce. Se un po’ vale come misura. L'ha pescata da quello stesso abisso, forse.

    "Controllamo se ho recuperato tutto?...”

    Keiji si fa coraggio e abbassa lo sguardo verso lo zaino aperto. Stranamente, la testa non gli parte, l'occhio ci vede meglio. Il triptano ha fatto effetto? O non è stata piuttosto la cura, la calma, la vicinanza del suo amico a ridurre dolore e panico a brandelli? Stava fuggendo via e ora si trova sotto la sua ala. Sta meglio.

    “Dovrebbe essere tutto a posto. Grazie Bokuto-san.”

    Keiji si rialza ma canta vittoria troppo presto ed è costretto a sedersi di nuovo. È come se fosse svuotato. Se potesse chiudere gli occhi, riaprirli e trovarsi magicamente in camera sua, si infilerebbe nel suo letto così com’è adesso: vestito, sudato, con la barba, con i postumi dell’emicrania e del farmaco che ha assunto. E poi ha lo stomaco pieno di acido.

    Fa schifo. Sì, vorrebbe aver appena chiuso la porta del suo appartamento, che però è a quasi un’ora di metro dalla stazione. Anzi, è meglio che si avvii.

    Si alza nuovamente. Se cammina piano forse ce la fa.

    “Hey! Aspetta un attimo! Come ci torni a casa?” Chiede Kōtaro. Che gli afferra un polso con la sua mano grande e calda. Lo trattiene, non si fida.

    “C-con la metro...”

    “Ti va se ci prendiamo prima qualcosa di caldo?”

    “Ma è quasi l’una… non vuoi tornare a casa?”

    Kōtaro fa un sorriso che accorda perfettamente gli occhi enormi e la bocca.

    “No! Non se tu stai ancora così!”

    “Sto bene, davvero.”

    E a casa sua starà meglio, dopo una doccia. Perché se gli resta accanto, la sua vicinanza farà da calamita e gli strapperà dal cuore tutto: L'emicrania, Midori, la solitudine e qualcosa che per anni è rimasta come a pelo d’acqua, qualcosa che galleggia in un punto imprecisato della parte più giovane della sua anima.

    Non è vero che non prova nulla. Non è vero che non c’è più.

    Sono bastati dieci minuti per capirlo, con tutta l’emicrania.

    “Ascolta: ci prendiamo un tè e vediamo come va. Se ti senti meglio, ok, altrimenti a casa ti ci porta il tuo senpai!

    Kōtaro è serio, nonostante gesticoli vistosamente indicandosi con entrambi i pollici.

    Lo guardano tutti e in effetti è uno spettacolo, grande e grosso com’è.

    “Okay.” Risponde Keiji, altrettanto serio.

    Ha mille ragioni per rifiutare e nessuna ragione per accettare, ma in quel momento nella sua mente si invertono i poli della questione.

    Kōtaro lo aiuta ad alzarsi.

    “Grazie.”

    La motrice del treno si spegne di colpo e fa sì che trionfi uno strano silenzio, nel quale vibra solo un respiro profondo: quello di Kōtaro che si carica il suo zaino sulle spalle. Tira il trolley con una mano e con l’altra tiene i manici del suo borsone. Fa tutto lui, si carica anche del suo peso. E Keiji si sente leggero, finalmente. Il serpente non striscia più.

    Il capotreno con i guanti bianchi, in piedi davanti al muso del treno, si inchina al loro passaggio.


    (Alla fine del manga, di loro si sa che Kōtaro continuerà a giocare da professionista negli MSBY Jackals di Tokyo mentre Keiji andrà a lavorare per una casa editrice. Midori è invece un personaggio inventato da me.)

    (Continua)

    Edited by Bathsheba Everdene - 5/5/2024, 02:08
  8. .
    CITAZIONE (LaraTania @ 30/4/2024, 15:06) 
    Cara Bathsheba Everdene
    posso chiederti quando l'hai scritta?

    CITAZIONE
    messa giù già da un po’,

    È stato più o meno un mese e mezzo fa 🤔
  9. .
    LaraTania, la differenza d’età impallidisce davanti alla complicità che sei riuscita a costruire fra i due. E ti faccio nuovamente i complimenti per come hai saputo raccontare la loro evoluzione emotiva di pari passo a quella professionale, che nella storia ha un peso fondamentale sin dall’inizio e ci fa cogliere anche il loro modo di rapportarsi al contesto in cui si muovono: lei molto guardinga per via della storiaccia il suo ex, lui molto più di pancia ma serio e attento e capace di farsi strada con autorevolezza. Il “lei” ci stava tutto, e stemperava gli animi, che rischiavano di prendere fuoco troppo presto.
    Uno a zero per Roxie sulla tenuta etilica 😝!
  10. .
    CITAZIONE (LaraTania @ 29/4/2024, 17:58)
    Sei una macchina da guerra!!!!!

    Troppo buona 🤩🙂! Questa in realtà l’avevo messa giù già da un po’, mentre il dieci anni dopo è nato a seguito della lettura dell’ultimo volume del manga, che è recentissima

    CITAZIONE
    Mi è piaciuto anche questo e lo sai che penso che tua scriva benissimo, ma dato che credo nell'importanza dei commenti, ti confesso che mi sono sentita meno coinvolta dalla storia rispetto alle precedenti, forse colpa mia che l'ho letta tutta di seguito o sono solo io stanca... non so se riesco a fartelo arrivare...mi è sembrato di essermi riempita troppo il piatto ad un bel ricco buffet e di non essermi goduta appientutte le portate (buonissime !) come quando ti vengono invece servite al tavolo ad una ad una.

    Credo di aver capito 👍, questa poi è una storia di soli due capitoli che letti insieme la trasformano in effetti in una one shot un po’ lunga.
    Anche leggere le nostre FF stanca 😆, > OT: Comunque sto lavorando allo spin off della precedente 😋: uno dei due Bro “amici di letto per diletto” lo abbiamo sistemato, ma l’altro? Che ne sarà di Kōtaro? FINE OT< Colgo il tuo suggerimento di centellinare, va benissimo 🙂

    CITAZIONE
    Comunque sei incredibile, fatti, emozioni, descrizioni, attimi che sfuggono, sono trasdotti perfettamente in parole!! Complimenti!!

    Grazie come sempre, se vi arrivano immagini ed emozioni nonostante non conosciate bene la storia, non posso che sentirmi felice 🤩, vuol dire che i personaggi sono importanti fino ad un certo punto e possono avere il volto di chiunque.



    CITAZIONE (SusinoSan @ 29/4/2024, 22:11)
    Eccomi! =)

    Bella, delicata.
    "Kei vorrebbe cambiare città, liceo, squadra, vita" :]

    Questa storia e questi due personaggi mi fanno tanto pensare alla magia degli incontri adolescenziali d'estate: tutto sembra possibile, magico, infinito 3_3
    Alchimia, cuore a mille, brividi :]

    E ti lascia un collegamento alla fiction di 10 anni dopo - Gatti, dinosauri e chiari di luna - , ti da un'idea del perchè Kei sia così sfrontatamente reticente con Tetsuro, in effetti avevano già seminato i primi sentimenti qui <3

    Bella, bella!!

    Grazie! Non è facilissimo raccontare di “quei” tempi del liceo, si rischia di cadere un po’ nel cliché del sole- cuore-amore oppure di esagerare all’opposto 😘
  11. .
    CITAZIONE (Galadriel1978 @ 28/4/2024, 10:25) 
    Molto bella anche questa piccola parentesi con un what if al presente. Direi perfettamente riuscita. Come sempre, ci regali descrizioni accurate del mondo interiore ed esteriore dei personaggi e questo ci permette di figuarci la scena davanti agli occhi e di empatizzare con loro.
    Brava :clap: :ave:

    Grazie socia 🥰.
    Sto praticando molto il tempo presente, anche e soprattutto nella lettura, regala sfumature particolari i termini di aspettativa… Superhype 🤩!
    Sono felice che il racconto sia coinvolgente anche se il contesto e la storia “madre” non sono chiari a tutti per ovvie ragioni, un conto è scrivere di e in parallelo a Gnk, un altro è andare su terreni meno praticati (ma magari mi sbaglio 😅☺️)
    Grazie come sempre 😘
  12. .
    Nella FF "Di gatti, dinosauri e chiari di luna" avevo raccontato un ipotetico incontro fra due personaggi di Haikyuu, Tetsuro e Kei, dieci anni dopo le vicende che si svolgono nel manga
    Qui siamo esattamente dieci anni prima, ai tempi del liceo, durante il campo di allenamento della Golden Week. In questo punto del manga, più o meno al volume 10, la squadra del Karasuno, nella quale gioca Kei, viene invitata a Tokyo ad allenarsi con le quattro migliori squadre della città, fra le quali il Nekoma, nella quale gioca invece Tetsurou.
    Kei è a un passo dal mollare la pallavolo perché non riesce a provare vera passione e perché, per quanto si sforzi, non sembra andare da nessuna parte.
    Il primo capitolo è in linea con gli eventi del manga, il secondo è un what if.
    Kei e Tetsuro si sono già incontrati un mese prima, quando è il Nekoma ad andare fino a Sendai, e l'inizio della storia parte da lì.

    Gli altri personaggi coinvolti sono i membri delle due squadre (mi rendo conto che sono tanti, è un manga pieno di personaggi :uhm: )
    È un tentativo di scrittura al tempo presente, che non è propriamente una passeggiata *_*

    Graditi i commenti, as usual!! :]

    Titolo:The Wild Ones

    Autore: Bathsheba Everdene

    Protagonisti: Tetsurō Kurō e Kei Tsukishima

    Breve Descrizione: Tetsurō e Kei si incontrano per la prima volta

    Numero di Capitoli: 2

    Contiene Spoiler: Per chi non ha letto Haikyuu

    Contenuti Erotici: No





    Prima parte - Notti Selvagge


    “Notti Selvagge - Notti Selvagge!
    Fossi io con te
    Notti Selvagge sarebbero
    La nostra ingorda voluttà!
    Inutili - i Venti -
    A un Cuore in porto -
    Via il Compasso -
    Via la Mappa!

    Vogare nell'Eden -
    Ah, il Mare!
    Potessi soltanto ormeggiare - Stanotte -
    In Te!”




    Kei appoggia sul comodino il libro di poesie che ha preso in prestito dalla biblioteca della scuola. Sono quasi le undici e non riesce a chiudere occhio.
    Le ante della finestra della sua camera sono socchiuse, un vento fresco e leggero, pieno di grilli, si infila fra le tende e lo raggiunge, gli sfiora le guance arrossate, gli accarezza i capelli. Sotto il lenzuolo, il cuore batte veloce, il respiro è profondo, il corpo è sveglio, in allarme.

    Fossi io con te
    Notti Selvagge sarebbero…



    Basta solo l’immagine del suo viso, del suo sorriso sghembo, dei suoi capelli assurdi, più scuri delle piume di un corvo, più lucidi del manto di un gatto… solo questo basta a stranirlo, a rendergli difficile girarsi su un fianco e chiudere gli occhi. Domani c’è scuola, la verifica di matematica, poi gli allenamenti, poi di nuovo lo studio…

    E poi, di nuovo, le parole di Emily Dickinson sul comodino, accanto ai suoi occhiali.

    La nostra ingorda voluttà!
    Inutili - i Venti -
    A un Cuore in porto…



    Ma lui - il porto - non c’è, è lontano da quelle parole conturbanti e dal suo corpo, ancora acerbo, che non trova pace. Lui non può sapere che cosa abbia in testa da quella mattina, l’ostinazione dei suoi pensieri, la delusione delle sue speranze. Non può neanche lontanamente immaginare che cosa abbia significato per Kei incontrarlo, conoscerlo, come il suo sguardo sottile e magnetico abbia bucato il suo orizzonte, sfondato il suo muro.

    Potessi soltanto ormeggiare
    Stanotte - in Te


    Kei spegne la luce, disgustato da se stesso, dal suo desiderio patetico - il primo vero desiderio della sua vita.
    Ha un nome, quel desiderio: Tetsurō Kurō.

    Se lo scrive sul cuore, con un dito.


    ****


    Tetsurō osserva il paesaggio che corre. Kenma dorme sulla sua spalla, Taketora chatta con qualcuno al cellulare, il resto della squadra parlotta e il professor Nekomata ogni tanto ride di gusto, a bassa voce.
    Mentre tutto scorre veloce, lungo i binari dello Shinkansen, fuori splende la luna, immobile nel cielo.
    Anche Tetsurō ride, silenzioso.
    Ride di se stesso e di come ci sia cascato. Ride dei chilometri che già lo separano da quei capelli biondi, da quegli occhi chiari e sfuggenti. Ride per gestire ciò che prova. Non è sufficiente. Vorrebbe tornare indietro e capire meglio che cosa gli stia succedendo. Ma Tokyo si avvicina e Sendai si allontana.
    Solamente la luna resta immobile nel cielo, come un’isola, e sulla luna c’è lui.
    C’è Kei Tsukishima, il centrale silenzioso, sottile, delicato, enigmatico.
    Un’isola luminosa nel mare nero della notte, come recita il suo cognome.
    Tetsurō lo ha osservato attentamente durante le partite infinite di quella lunga giornata di amichevoli, la prima dopo tanti anni fra il Nekoma e il Karasuno, ma è riuscito a scambiare con lui solo poche parole, mentre osservavano entrambi Inuoka e Hinata, sotto rete, che si parlavano l’uno sopra l’altro con un linguaggio comprensibile solo a loro … o forse era l’entusiasmo a rendere quel discorso apparentemente assurdo?

    A differenza di Tetsurō, Kei però non aveva colto la spontaneità e la reciproca ammirazione che era scattata fra i due giocatori avversari, non aveva percepito l’adrenalina che li aveva accesi durante la sfida.

    “Ma come cavolo parlano?” Aveva infatti sibilato, infastidito.

    “Guarda che i liceali parlano così. Forse sei tu quello strambo che dovrebbe adattarsi a loro.”

    Tetsurō era piuttosto divertito da quella intransigenza. Dopo tutto, in quella palestra, ognuno di loro era stracarico di endorfine, parlavano a braccio, a vanvera, ridevano e pensavano già alla prossima amichevole. Perché Kei non registrava nulla di tutto questo?

    “Non mi riesce troppo bene.”

    Una risposta a metà.

    “Ricorda che sei giovane…” aveva risposto Tetsurō, che ora si chiede se quella battuta non sia suonata troppo paternalistica, del resto ha solo due anni più di lui.
    Forse sì. Un po’ si è abituato ad esserlo con Kenma, sin da quando erano bambini… ma Keinon è come Kenma, che il più delle volte fa spallucce e tira dritto: lui è più il tipo che se la prende, lo ha capito dai suoi lineamenti tesi, dal suo essere sempre un passo indietro agli altri. Isolato, annoiato … spaesato, forse, come se quella maglietta numero undici, se quella squadra una volta gloriosa non gli appartenessero davvero.

    Infila gli auricolari.
    Una canzone dei Suede, The Wild Ones.

    “Fra dieci minuti siamo in stazione.” dice qualcuno.

    Fine della corsa.
    Tetsurō lancia un bacio alla luna.


    ________


    Mesi dopo, si rivedono a Tokyo, per il campo di allenamento intensivo.
    È estate, e Kei odia il caldo.
    Odia sentirsi scivolare addosso le ore appiccicose di sudore, accumulate penitenza dopo penitenza, soprattutto lo innervosisce il fatto che Tetsurō sia a un passo da lui, nel campo adiacente al suo. Lo vede saltare, murare, lanciarsi in ricezione su ogni pallone, sinuoso come un gatto. Lo vede sorridere sghembo sia ai suoi compagni di squadra che ai suoi avversari.
    Lo vede a suo agio, che è l’esatto opposto di come si sente lui.
    I loro sguardi si incontrano, di tanto in tanto, ma nulla più.
    È irraggiungibile, perfetto nel suo ruolo di capitano, senpai, fratello maggiore quasi, giocatore completo da ammirare.
    E Kei lo ammira, dietro le sue lenti, mentre si muove svogliato. Se potesse, farebbe altro. Gli leggerebbe quella poesia della Dickinson. No, gliela reciterebbe perché la sa a memoria, l’ha imparata per lui.
    Se solo avesse il coraggio.

    Tetsurō invece maledice le occasioni che non riesce a trovare per interagire con Kei. Sono tutti presi dal gioco, i campi sono sotto un fitto bombardamento di scambi, veloci, servizi al salto, chance ball. Neanche quando le loro squadre si affrontano gli riesce di rompere il ghiaccio. Il suo ghiaccio lunare.

    Ma poi, la sera, accade qualcosa.
    Tetsurō è nella palestra numero 3, con Keiji Akaashi e Kōtaro Bokuto. Stanno allenandosi sotto rete e lo vedono passare fuori, accanto alle porte aperte sull’afa notturna.

    Tetsurō pensa che sia quella l’occasione giusta e che deve coglierla subito, al volo.
    Si scambia uno sguardo eloquente con Kōtaro, che però nasconde ragioni completamente diverse da quelle che crede di afferrare il suo amico del Fukurodani.

    Si lancia.

    “Ehi tu… un secondo… Quattrocchi del Karasuno!”

    Kei si volta verso di loro.
    Tetsurō continua

    “Puoi venire a murare?”

    Kei vorrebbe, ma è stanco di quella giornata, di quella bolgia di giocatori ognuno dei quali sembra avere una vera ragione per sudare, correre e agitarsi, a differenza di lui. Poco prima ha detto anche di no a Yamaguchi, che voleva tirare qualche servizio, figurarsi ora finire a murare quello strano e talentuoso Bokuto… e ovviamente, avere lui intorno.
    Non vuole essere messo alla prova.
    Non vuole sentirsi un fallimento totale.

    Non vuole entrare in quella palestra, sebbene senta forte e chiaro di volerlo con tutto se stesso.

    “E poi, se tu sei un centrale, faresti meglio ad allenarti nel murare, no?”

    La voce di Tetsurō è insidiosa come il suo sorriso sghembo, tagliente come i suoi occhi. Afferra, artiglia quasi quel minuscolo brandello di amor proprio che Kei conserva da qualche parte. Afferra anche la sua voglia di stargli accanto, che cresce esponenziale a ogni secondo che passa.

    Iniziano a giocare ma Kōtaro lo affonda quasi subito. Dopotutto, il suo amico è fra i primi cinque spiker della pallavolo giovanile giapponese, è una gioiosa e rumorosa macchina da guerra.

    Kei arranca, eppure Tetsurō coglie una nota di fastidio nelle sue risposte e nei suoi sguardi. Qualcosa di piccato emerge dal suo Mare della Tranquillità. Buon segno, può cercare un’occasione.

    “Allora proviamo con un muro a due!” Propone con finta nonchalance, quando in realtà prova solo un desiderio irresistibile di averlo accanto a sé.

    Kei lo guarda sfidare l’amico. Non avrebbe mai osato chiederglielo, di murare con lui. È confuso all’idea di giocare accanto a Tetsurō, ma tant’è: sente il suo odore, la sua maglietta che sa di detersivo e sudore, sente la testa girargli, vede le sue lunghe, bellissime mani e sa che può solo fare peggio di quanto ha fatto finora con i suoi muri ridicoli. Sente che se ne pentirà amaramente. Ma resta lì accanto a lui.

    “Conto su di te, Quattrocchi, cerca di bloccare l’attacco!”
    Iniziano e subito Tetsurō riesce a fermare Kōtaro con un muro perfetto.

    Kōtaro allora fa quello che fa di solito: la dice, esattamente come la pensa.

    “Ecco, come immaginavo! Sei bravo a leggere ma il tuo muro è deboluccio…”

    Kei abbassa lo sguardo. In quel momento, Tetsurō sente che c’è in gioco qualcosa di più importante della cotta che si è preso per lui, sente che il biondo mingherlino che tanto lo turba è a un passo dal mollare tutto. Capisce che bisogna defibrillarlo e decide di rischiare. Non va compatito, va scosso.
    Ci va giù pesante:

    “Se continui con queste stupidaggini il piccoletto ti passerà avanti e si prenderà il tuo posto.”

    Ed ecco Kei che riceve da lui quella pallonata senza battere ciglio. Anzi, sorride mentre batte in ritirata.

    “Beh, c’è poco da fare, no? Io e Hinata abbiamo abilità completamente diverse!”

    Arrivano altri del Nekoma e Kei finalmente se ne va, alludendo al fatto che, con tutti quei giocatori a disposizione, di lui non hanno sicuramente più bisogno.

    Tetsurō vorrebbe rimangiarsi parte delle parole che gli ha detto, poter tornare indietro e sceglierne altre, ma è troppo tardi. Kōtaro e Akaashi gli dicono chiaro e tondo che secondo loro il Quattrocchi si è offeso.
    Lo sa anche lui, e capisce che nel caso di Kei non si tratta solo di insicurezza ma di una errata percezione delle sue possibilità.

    È curioso, Tetsurō, vorrebbe scavargli nella testa e nel cuore, capire perché fa così. Capire da dove viene e dove va, stemperare la nebbia che lo circonda. È l’unico che non dice una parola, l’unico di cui non riesce a immaginare nulla. Soprattutto, vorrebbe stringerlo fra le braccia per evitare che fugga via dal suo mondo, dal loro mondo: il campo.

    Va in ansia, Tetsurō, ma non lo lascia trasparire. Forse il biondo deve sbollire.
    Fuori della palestra intanto brilla la luna, isolata nel suo mare nero.


    ________


    Kei dorme male.
    Sono tutti stanchi morti, e lui lo è anche di più ma si rigira senza pace nel suo futon. È come se gli mancasse l’aria, lì al buio.
    Le parole di Tetsurō lo hanno colpito e affondato. Ha perfettamente ragione a considerarlo una nullità prossima a essere scalzata dal piccoletto.
    Non sa se è più l’orgoglio a fargli male o il cuore.
    Ma tanto manca poco alla fine di tutto quello strazio, manca poco e Kei finirà sicuramente sulla panchina del Karasuno.

    In panchina, prima o poi ci finiscono tutti. A cosa serve tutto quello sfoggio di forza, tenacia, entusiasmo? Lui ha ben chiaro cosa è accaduto a suo fratello Akiteru, sa che cosa si prova a illudersi di essere qualcuno e poi ritrovarsi a non essere nessuno.
    Soprattutto, se Tetsurō pensa che sia un perdente, allora deve essere vero… perché in fondo lo pensa anche lui di se stesso.

    La giornata è mediocre, rallentata, e quando Kōtaro gli offre di allenarsi di nuovo con loro, Kei se la dà a gambe.

    Tetsurō lo ha osservato a lungo. Non avendo il coraggio di riprendere il discorso della sera prima, decide di scusarsi con lui per interposta persona, tramite Daichi Sawamura, da capitano a capitano. Si scalda per la prossima amichevole, proprio con il Karasuno.

    Kei non si fa illusioni. L’incontro con il Nekoma è il solito disastro e perdono 25 a 16. La serata procede da schifo, finché Yamaguchi non lo affronta. Lo chiama patetico e ha ragione ma Tadashi, nonostante i suoi trascorsi difficili alle elementari, quando la cattiveria degli altri ragazzini si era scatenata contro la sua debolezza, non può farsi davvero un’idea del peso che il suo cuore continua a sorreggere. Non può capire quanto Kei si senta a disagio in mezzo a quella calca di giocatori, quanto Tetsurō lo faccia, inconsapevolmente, sentire solo.

    Ma poi scatta qualcosa, quando Tadashi parla di orgoglio. Scatta l’analisi, e Kei è un campione di analisi. Kei ama la sistematica, la filogenesi dei comportamenti, vuole andare a fondo, vedere che cos’è che rende tutti così forsennati dietro a una palla. Cosa li riempie di orgoglio e contemporaneamente li svuota della propria rabbia.

    Senza pensarci oltre, arriva di nuovo alla palestra numero 3.

    Tetsurō lo vede arrivare e improvvisamente è più leggero. Vede la sua espressione decisa, sicura, sa che è venuto da loro perché deve imparare ad andare oltre.
    E allora, quale insegnante migliore di Kōtaro? Lascia fare tutto a lui, al suo entusiasmo e alla sua spontaneità. Tetsurō osserva Kei e lo ammira mentre ascolta il suo amico e la tensione finalmente lo abbandona, lo addolcisce. Quegli zigomi delicati, la bocca sottile, la pelle diafana, gli occhi color oro dietro le lenti, tutto della sua fisionomia si rilassa.

    E poi, come per magia, Tetsurō se lo trova accanto. Il brutto scambio che hanno avuto sembra superato.

    “Devi far affluire tutta la tua forza nelle dita. In questo modo eviterai di far schizzare via la palla…”

    È un piacere sottile farsi ascoltare da lui, essere inquadrato dai suoi occhi chiari. Tetsurō vorrebbe spingerlo via e farsi ascoltare ancora ma fuori, da solo con lui. C’è altro che è urgente da dire, c’è altro che vorrebbe fare e che non vuole più solo immaginare.

    La serata però scorre via, il sudore si asciuga, le strade si separano. Domani è di nuovo l’ultimo giorno, e Kei ripartirà…



    Seconda parte - The Wild Ones



    Ehi… giovani corvi!...Vi va di farvi un giro?”
    Più tardi, Yamamoto si affaccia sulla porta dello stanzone nel quale giacciono tutti stremati sui futon. Tutti tranne uno, Tanaka, che si alza in piedi.
    Gli occhi di Kei, confusi e annebbiati dalla stanchezza e dalla miopia, mettono a fuoco con difficoltà… eppure, anche senza lenti, alle spalle di Yamamoto vedono una figura appoggiata con indolenza allo stipite della porta.
    Ma come fa ad avere tutta quella resistenza?
    “Allora? Battete la fiacca? Ma non volevate vedere lo Skytree?”
    “Ehi, city boy, non mi provocare…” esclama Tanaka ma già ride e si infila nuovamente i pantaloni della tuta. Nishinoya lo segue a ruota.
    “E voi, primini…?”
    Kei si agita pur rimanendo impassibile. Potrebbe chiederlo solo a Tadashi, che però già dorme. La strana coppia di bislacchi è ancora in palestra, evidentemente vogliono morirci.
    No, non ha altri amici, lì dentro, con cui uscire. Però vuoleuscire.
    “Ehi, Quattrocchi… sei dei nostri?”
    La voce di Tetsurō è un sussurro, in realtà, e lo sente da lontano. Non l’ha mai sentita così, slegata dalle attività di quel campo di allenamento. Una voce nuova che gli dà i brividi nonostante i trenta gradi.
    Anche Kei si alza e si riveste, tentando di ignorare le facce sorprese di chi ha intorno. Fuori è notte e lui naviga a vista e lì vicino c’è il porto di cui parla quella maledetta poesia.
    Tetsurō è tranquillo. Durante la cena ha riflettuto a lungo: è vero, sono diversi, vivono in due posti diversi, hanno idee diverse sulla pallavolo e un modo diverso di affrontare le frustrazioni che derivano dall’esporsi e dal mettersi in gioco. Quella sera però Kei ha fatto un piccolo passo avanti, forse anche grazie a lui. Anche Tetsurō, allora, fa un passo avanti.
    “Lo Skytree è a un’ora e mezza abbondante da qui. Direi che possiamo accontentarci di un giro a Saitama…” Lo guarda fisso mentre lo dice, mentre già si accontenta di quello che sarà.
    Tanaka non nasconde la propria delusione ma tempo cinque minuti già si è preso sottobraccio Taketora e Yuu e avanza fuori dal cortile della scuola, alla conquista della periferia.
    Dietro di loro, ci sono solo Tetsurō e Kei, più lenti e silenziosi.
    Fuori la luna è immensa e Tetsurō ha quasi paura di guardarla. Improvvisamente è scarico, non ha più adrenalina mentre gli cammina accanto. Sta pensando a come attaccare un discorso qualsiasi ma il silenzio dura poco perché sulla strada ci sono già Kōtaro, Keiji, qualcuno dell’Ubugawa e c’è anche Kenma, appoggiato a un palo della luce con il viso illuminato dallo schermo di un videogioco.
    Non sono più soli.
    I ragazzi si incuneano fra loro, li allontanano. Kei finisce fra le grinfie di Kōtaro, Tetsuro ride mentre Tanaka e Nishinoya prendono in giro la timidezza di Taketora con le ragazze.
    Si fermano in una izakaya poco distante e prendono da mangiare e da bere, rigorosamente analcolici perché l’indomani ci sono altre partite.
    Finiscono sui gradoni di un teatro all’aperto in un parco tutto cemento e piste da pattinaggio e skate.
    Kei si è portato appresso le cuffie. Sa che probabilmente è fuori luogo ed è scortese indossarle ma ha esaurito gli argomenti di conversazione. La pallavolo alla fine gli interessa poco ed è purtroppo l’unico minimo comune multiplo fra di loro – gusti personali, passioni, abitudini… a che serve tirarli fuori e discuterne?
    E poi arriva lui, scende i gradoni e gli si siede accanto.
    Il cuore di Kei si risveglia e ricomincia a correre. Non sa se mollare tutti e correre via anche lui.
    “Ehi Quattrocchi… mica male l’idea di portarsi della musica appresso! Non so tu come faccia a sopportarli, ma i tuoi senpai del secondo anno insieme a Taketora sono assordanti!...”
    “Sono d’accordo con te.”
    “Che musica ascolti?”
    Senza aspettare una risposta, Tetsuro allunga una mano verso il suo Ipod. Kei lo lascia fare e arrossisce al buio perché toccare la sua musica è come toccare lui.
    Il moro scorre le playlist con il dito e sembra apprezzare.
    “Però… bella questa… e anche loro, sono pazzeschi dal vivo. Li ho visti l’anno scorso…”
    “Ah. Quelli come loro da noi non vengono…” risponde Kei con un tono deluso e rassegnato.
    “Questi invece ce li ho anche io, e su vinile, pensa…”
    Parlano di musica, a lungo, e Kei improvvisamente non prova più alcun senso di inadeguatezza. Sente l’irrefrenabile voglia di allungare una mano e infilarla nei suoi capelli neri e con l’altra sfiorargli il viso. Sente, desidera, manda giù saliva perché ha la gola secca, ha sete e gliela provocano le sue labbra così vicine.
    “Senti ma hai un abbonamento a questa piattaforma?”
    “Sì.”
    “Allora… posso?...”
    Kei annuisce e osserva al buio lo schermo luminoso fra le mani di Tetsurō. Lo osserva mentre cerca una canzone e gliela scarica. Non gli dice nulla, però. Chiude l’applicazione e gli sorride.
    I ragazzi si alzano dai gradoni, ormai è piuttosto tardi.
    “Andiamo.” Dice il moro restituendogli l’iPod e dandogli un colpetto sulla spalla.

    ________



    Più tardi, Kei non riesce a dormire nonostante sia sfinito.
    Non osa prendere in mano l’iPod. Se gli deve passare, sa che quella canzone, qualunque essa sia, può solo infierire sulla sua situazione.
    È innamorato, non è solo attratto.
    Quel poco che hanno vissuto insieme sul campo, le sue parole di sfida e poi quelle di incoraggiamento… ha fatto più Tetsurō per lui che settimane di allenamento. E poi le parole scambiate al parco, gli sguardi pieni di interesse, le gambe che si sfioravano.
    Vorrebbe cambiare città, liceo, squadra, vita.
    La canzone ascolterà domani, sulla via del ritorno.

    No, non ce la fa, la mette subito. The Wild Ones, dei Suede

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    “C'è una canzone che suona alla radio,
    alta nel cielo tra le onde dello show del mattino
    E mentre il disco suona, un'ancora di salvezza scivola via
    E mentre apro le serrande della mia mente, confido che tu resterai qui

    Oh, e se resti, caccerò via lontano i campi sferzati dalla pioggia
    Splenderemo come il mattino e peccheremo sotto la luce del sole
    Oh se resti
    Oggi saremo i selvaggi che corrono insieme ai cani

    C'è una canzone che risuona da dietro la parete
    Tutto quello che vediamo e a cui crediamo è il DJ, ed i debiti si dissolvono
    Ed è un peccato che l'aereo parta in questa giornata di sole
    Perché il mio tatuaggio sanguinerà su di te ed il nome sbiadirà

    Oh, e se resti, caccerò via lontano i campi sferzati dalla pioggia
    Splenderemo come il mattino e peccheremo sotto la luce del sole
    Oh se resti
    Oggi saremo i selvaggi che corrono insieme ai cani”



    Si è accorto di essere rimasto immobile, senza fiato.
    Una canzone che parla di un’ancora, che scivola via tra le onde.
    Lui che cerca un porto.
    Lui che non parte, che rimane.
    Potessi soltanto ormeggiare - Stanotte! - in Te

    Kei non vede più nulla, nel buio è tutto smisurato, profondo, meravigliosamente confuso.

    Però, se fosse tutto un gioco?

    È crudele il pensiero che Tetsurō possa volersi prendere gioco di lui - come potrebbe solo pensare di piacergli? Sono come il giorno e la notte, lui è popolare e pieno di amici e interessi mentre Kei presta il suo tempo a uno sport che non apprezza come dovrebbe. Ma è molto più crudele l’idea che quella canzone non significhi in realtà nulla, che sia una bella canzone, niente di più, fra le mille che gli piacciono.
    Si alza e si riveste, di dormire non se ne parla.

    Tetsurō è fuori, sul prato. Sdraiato a prendere le stelle, come amava fare da piccolo sul terrazzino di casa sua.
    Quella canzone è stata un colpo di testa ben camuffato, a cui fino all’ultimo momento ha tentato di resistere. Non sa se Kei l’ha ascoltata, se ha capito qualcosa. Non crede che possa accadere così, dal nulla. Il mondo è pieno di schermi, maschere, incute timore se si è giovani. Anche Tetsuro è giovane, inesperto, intimorito da ciò che prova, ma lo prova e gli piace disperatamente.

    E poi sente dei passi avvicinarsi, alle sue spalle.
    Si tira su, si volta.
    Kei, con la sua maglietta bianca, brilla quasi sotto la luna. Sembra ancora più fragile di quanto non appaia alla luce del sole. È l’isola luminosa che lo ha incantato.

    Tetsurō invece è ancora più scuro nella sua t-shirt nera, si notano solo i pantaloncini rossi. Kei sente una corrente che lo spinge verso di lui. È una barca pronta all’abbrivio. Il porto nella notte. La notte selvaggia.

    Non c’è nessuno a parte loro due, l’edificio della scuola è una fila di occhi spenti e addormentati.
    Si guardano, si avvicinano. Non ci sono abbastanza secondi a separarli, non fanno in tempo a cercare le parole per riempirli.
    Kei si lascia prendere, abbandona il suo viso nelle mani di Tetsurō, la bocca sulla sua. Non ha mai dato un bacio a nessuno eppure con lui sa perfettamente come si fa, sa che può e deve sentire il suo sapore, incatenare il respiro al suo. Sa che le braccia possono allungarsi, le mani afferrare e sfiorare, lo sa mentre Tetsurō fa la stessa cosa. Sa che può bruciare tutto, che le notti possono essere selvagge anche per lui.
    Dietro un albero, può lasciarsi spingere giù, sentire l’erba umida fra i capelli e i grilli accesi ovunque. Può fare spazio e cercare spazio, arrivare fin dove si può arrivare a poche ore dalla sua partenza. Può cercare e trovare i suoi occhi al buio, dirgli che gli sembra di impazzire, che non sa come fare.
    Sentire la sua pelle e offrirgli la propria.
    Chiudere gli occhi sotto di lui, sentire il cuore che deborda, respirare forte mentre lo tocca e si lascia toccare.
    Annuire stravolto quando lui gli dice in affanno che troveranno il momento giusto per fare tutto, per farlo bene, e che quello è solo l’inizio.
    E poi, nel suo orecchio, riversare le parole di quella poesia mentre lui lo stringe forte.

    “Quando è iniziata… per te ?” Chiede dopo Kei, curioso. “Dopo la prima amichevole. Poi ti ho rivisto, durante il ritiro breve e ho provato a riordinare i pensieri ma ho capito che questa cosa che avevo per te poteva solo peggiorare.” Tetsurō sorride al buio, sfiorandogli i capelli.
    “Anche per me è iniziata in quel momento...”
    “E poi, quando in questi giorni ho temuto che volessi mollare la pallavolo… ecco, credo che questa cosa abbia accelerato tutto.”
    Kei sospira, ha poco da dire, in realtà, sulla pallavolo. L’ha messa fra parentesi.
    “A me è andata peggio che a te… io non sono abituato a… sperare. E a crederci.”
    Tetsurō sorride e lo bacia di nuovo, a lungo, con determinazione.
    “Ci credi, ora?… Kei, per quanto riguarda la pallavolo…non sprecare tutto.”
    Kei sorride al buio. Un sorriso amaro, in verità.
    “Datti tempo, questo sì… ma non sprecarlo.”
    “Ci proverò…”

    È quasi l’alba quando decidono di rientrare.
    O almeno ci provano, si tirano su dal prato per finire di nuovo giù e sono di nuovo mani e brividi sotto le magliette.

    Poi Tetsurō, il più grande, torna a essere abbastanza lucido per entrambi. Si scrollano di dosso i fili d’erba e prendendosi per mano, rientrano alla base.

    Il giorno dopo, tanto per cambiare, Kei ha lo stomaco chiuso. È esterrefatto, immerso nel suo mondo, apparentemente impermeabile.
    Glielo ha detto, a Tetsurō, che non avrebbe fatto trapelare nulla, si sarebbe comportato come al solito specie con quei fastidiosi, curiosi e inopportuni compagni di squadra.
    Si sono però scambiati i cellulari e fra una partita e l’altra si mandano dei messaggi che leggono avidamente. Sono parole che scaldano e fanno arrossire.
    Tetsurō è estasiato da ciò che legge, Kei sceglie le parole con cura per trasmettergli ciò che prova per lui, è delicato come una carezza nonostante quelle mani che, se ben aperte, potrebbero murare chiunque.
    Le mani bianche che si è sentito addosso anche quando si è infilato nel futon per dormire un paio d’ore.
    Tetsurō, invece, non può fare a meno di essere più diretto nell’esprimere ciò che desidera, e come, e si diverte a vederlo arrossire a distanza.

    C’è solo un momento, durante la mattinata, dopo l’ultima partita contro il Fukurodani, in cui si materializzano un corridoio vuoto e uno stanzino, in un angolo fuori mano del pianterreno.
    Lì dentro è diverso dalla sera prima - non c’è erba umida ma spigoli e pareti e c’è meno tempo, ma il poco che c’è è tutto loro.
    Sono giovani e non hanno esperienza di come si possa dominare il desiderio, che in loro è già intrecciato all’ inevitabile distacco, è già puro come la nostalgia che da quella sera proveranno l’uno per l’altro.

    Dopo un bacio infinito, Kei riesce a staccarsi dalle labbra di Tetsurō ma solo per prenderlo in giro.

    “La canzone dice peccheremo sotto la luce del sole, non in uno stanzino buio accanto alla mensa…”
    “Shhh… tanto oggi c’è la grigliata e si mangia fuori…”
    “Che cosa vuoi fare…?” Chiede Kei tagliandosi su quegli occhi sottili come lame.
    “Quello che posso per ricordare il più possibile. Per sognarti meglio. Ricordi? La nostra ingorda voluttà!
    Gli toglie la maglietta.
    Kei sente un bacio scivolargli giù lungo il collo, le labbra insistono e bruciano, nel punto morbido fra lo sterno e la clavicola.

    La sera, a casa, mentre si spoglia, vede quel bacio tatuato, il bacio della canzone. Non scolorirà.

    Sorride. Sotto sotto, crede che la pallavolo non sia poi tanto male.
    È il caso di darle un’altra possibilità.


    (FINE)

    Edited by Bathsheba Everdene - 28/4/2024, 09:06
  13. .
    SusinoSan , in special modo per te, che sei ormai entrata nel loop di questo anime, ho pronta una storia che parla giustappunto dei sentimenti di una vita prima 😆, forse la posto stasera.
    Di questi due caratteri amo molto le differenze di indole, ma in generale il mondo di Haikyuu è pieno di potenziali “dioscuri” su cui inventare intrecci o situazioni, il manga in molti punti è volutamente ambiguo 😋.
    Sono felice che il gatto e la luna vi abbiano allietate, per me è sempre importantissimo avere il vostro “ritorno”😘
  14. .
    Eccomi LaraTania !
    Ho pensato di regalare a Kei soprattutto qualcosa da stringere fra le dita che non scivoli via come sabbia: nel manga di lui sappiamo che giocherà ancora a pallavolo e che studia all’università ma non sapremo mai che cosa combinerà e se troverà davvero il suo posto nel mondo. È un personaggio molto critico e cervellotico, ma anche molto fragile e delicato e almeno qui Tetsurō si prenderà cura di lui.

    Lo spin off è ancora in fase di creazione ma manca poco, avrà al centro altri due personaggi.

    Nel mentre, Il gatto e la luna sono sempre nel mio cuore e posterò presto un racconto in due parti ❤️
    A presto😘😘
  15. .
    Eccomi!
    Una storia davvero fresca e piena di ritmo, trovo che tu abbia una scrittura cinematografica 🤩. I dialoghi serrati lasciano trasparire il dato fondamentale che li rende perfetti l’uno per l’altra prima ancora di andare a “scomodare” gli ormoni, e cioè la facilità e la naturalezza con cui parlano.
    Ho trovato geniale il finale con lo svelamento dell’arcano 😀, nello scrivere la storia lei c’è andata molto vicina con i “pensati” di lui… il “resto” invece era giustamente tutto da vivere ❤️‍🔥!
    😘

    Edit: ma alla fine, fra i due qual è la differenza d’età 🤔

    Edited by Bathsheba Everdene - 27/4/2024, 19:25
1425 replies since 12/9/2012
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