Di gatti, dinosauri e chiari di luna

Introspettiva e intensa - da "Haikyuu"

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    “Tetsurō… perché sei così dannatamente etero?” X)
    Se lo chiedeva Tooru, protagonista di una FF dal titolo “Tre”, pubblicata da me poco tempo fa in questa sezione.
    Come avrete capito, se avete avuto modo di leggerla e avete amato Tetsurō, ritorno su Haikyuu, manga meraviglioso (anime altrettanto) e stavolta lo trascino in una storia totalmente diversa.
    Va fatta una premessa, fondamentale per chi non conosce il fandom che ruota attorno a questo manga: il personaggio di Tetsurō è gettonatissimo ed è solitamente “shippato” con quello di Bokuto, ma c’è anche chi lo vede insieme a Tsukishima, altro personaggio meraviglioso, fra i più complessi. Questo perché Tetsurō, capitano del Nekoma, è un "gatto" e Tsukki, come recita il suo nome, è la “luna”. Io, come al solito, ci vado leggera e scrivo soprattutto delle sensazioni che immagino per loro.

    Come avrete capito, è un intreccio shonen-ai <3
    Fatta la premessa, la storia è un missing moment totalmente inventato, a parte qualche dettaglio di partenza che chiarirò a fine capitolo.
    Buona lettura :]



    Titolo:Di gatti, dinosauri e chiari di luna

    Autore: Bathsheba Everdene

    Protagonisti: Tetsurō Kurō e Kei Tsukishima

    Breve Descrizione: Tetsurō e Kei si incontrano dieci anni dopo

    Numero di Capitoli: 3 parti

    Contiene Spoiler: Solo per chi non ha mai letto il manga potrebbe essercene qualcuno

    Contenuti Erotici: Appena accennati




    Prima Parte





    Blue moon, you saw me standing alone
    Without a dream in my heart
    Without a love of my own

    Blue moon, you knew just what I was there for
    You heard me saying a prayer for
    Someone I really could care for

    And then there suddenly appeared before me
    The only one my arms will ever hold
    I heard somebody whisper "Please adore me"
    And when I looked, the moon had turned to gold!

    Blue moon!
    Now I'm no longer alone
    Without a dream in my heart
    Without a love of my own







    A ventotto anni, Kurō Tetsurō continuava a essere profondamente gatto.

    La sua indole felina traspariva da ogni suo gesto e atteggiamento.

    Il suo ruolo di promoter per la Japanese Volleyball Association lo faceva girare in lungo e in largo per tutto il Paese e quando si trovava seduto in tribuna ad osservare un giocatore potenzialmente interessante, lo faceva nell’immobilità più assoluta. Le sue pupille si contraevano e si assottigliavano. Occasionalmente, con le dita si sfiorava la guancia, come a sfiorarsi le vibrisse.

    Questo capitava in special modo se all’osservazione prettamente esteriore si sovrapponevano considerazioni sulla personalità che il soggetto osservato esprimeva sul campo, sia durante le azioni sia nei momenti in cui il gioco era fermo, dopo un punto guadagnato o perduto, oppure durante un time out.

    E poi, a completare il tutto, c’erano la sua discrezione e la sua tenacia nel seguire il percorso di un atleta partita dopo partita e nel valutare quale tipo di gioco gli fosse più congeniale, che tipo di schemi. Il suo obiettivo primario era stabilire di che tipo di animale si trattasse: selvatico e individualista come un’aquila, di difficile gestione in un gioco che si fondava sullo spirito di squadra? Oppure un gregario, che si lasciava trascinare facendo il suo lavoro ma non di più, come l’ultimo di una nidiata di corvi? Oppure ancora il perfetto leader che plasmava il gruppo e motivava i suoi compagni, il fulcro del suo team, il capo branco, il primo tra i gatti della discarica?

    Secondo Tetsurō, ogni atleta, se messo nelle condizioni giuste per farlo, era in grado esprimere il proprio potenziale - quale che fosse - che mescolato a quello dei compagni poteva creare la sintesi giusta per la propria squadra. Il Nekoma, ai tempi del liceo, era stato per lui un ottimo esempio di squadra nella quale tutti potevano dare qualcosa al gruppo e ora, con le sue esperienze da giocatore e quelle successive legate al suo ruolo nella JVA, Tetsurō aveva affinato le sue capacità e si era trasformato in un vero cacciatore di talenti, quasi una figura manageriale, fortunato nel suo lavoro perché amava ancora la pallavolo con la stessa intensità di quando era piccolo.

    E continuava ad amarla nonostante ne conoscesse bene anche gli aspetti più stressanti: c’era infatti sempre una sottile barriera a separare il successo dall'insoddisfazione, l’armonia dai conflitti. Sottile come una rete. Alla fine, si giocava sempre su un filo teso, che poteva spezzarsi da un momento all’altro.

    Che cosa si era spezzato, per esempio, in Kei Tsukishima?

    Tetsurō se lo chiedeva giusto quella sera, mentre osservava il Quattrocchi vestito in giacca e cravatta in piedi davanti all’ingresso del Museo della città di Sendai.

    Il Museo aveva aperto le porte per un evento serale privato, organizzato dal municipio e dal ministero della cultura.

    Che cosa ci faceva lì l’enigmatico e biondo ex centrale del Karasuno, e ormai anche ex centrale dei Sendai Frogs, così elegante e così bello in un luogo totalmente diverso da una palestra o un palazzetto dello sport?

    A giudicare dallo sguardo tagliente che il soggetto in questione gli stava rivolgendo in quel preciso istante, accorgendosi della sua presenza, la stessa domanda se la stava ponendo anche lui nei suoi confronti, perché sicuramente Kurō Tetsurō non era tipo da museo.

    Eh no.

    Tetsurō gli rivolse un sorrisetto incerto e con un gesto gli fece capire che lo avrebbe raggiunto per salutarlo. Erano lì entrambi, perché non scambiare due chiacchiere?

    Il Quattrocchi allora si aggiustò gli occhiali sul naso.

    Quando lo faceva, era nervoso. Gli voltò le spalle senza ricambiare neppure con un minimo cenno di saluto.

    E anche Tetsurō, di colpo, si innervosì.

    Perché era sempre così impermeabile? Sempre barricato dietro qualche cosa, come i suoi begli occhi chiari dietro le lenti.

    L’ultima volta che lo aveva visto era stato pochi minuti prima della partita fra gli Adlers e i Jackals. Quella sera gli era apparso anche più bello di come lo vedeva ora in giacca e cravatta: indossava un paio di jeans aderenti e una giacca chiara che gli disegnava con eleganza le spalle e la schiena. Si era fermato al metro e novanta e se lo portava benissimo.

    Aveva pensato di raggiungerlo sugli spalti ma poi aveva avuto da gestire alcune persone che erano state invitate dall’Associazione e comunque lui era insieme a Yacchan e Yamaguchi - che equivaleva più o meno alla sua ombra.

    C’era stato però un momento, al bar del palazzetto dopo la partita, nel quale si erano trovati a un passo l’uno dall’altro. Tsukishima era solo non si era accorto di lui e Tetsurō, che pure gli si stava avvicinando, aveva poi fatto marcia indietro: improvvisamente gli si era impastata la lingua, gli era aumentato il battito, gli era tornato quel turbamento che solo la certezza che quello che aveva di fronte fosse il suo vero primo amore poteva provocargli ancora a distanza di tanto tempo.

    Un primo amore mai dichiarato, scomodo, difficile perché difficile era Tsukishima, giudicante, respingente, chiuso.

    Era stato a un passo dal confessarglielo anni prima, ai Nazionali, il giorno in cui il Karasuno dopo aver vinto contro il Nekoma aveva perso contro il Kamomedai, ma quando si era infilato negli spogliatoi per incontrarlo e provare a esprimere a parole semplici ciò che di complicato provava per lui, lo aveva visto appoggiato al muro con Yamaguchi proteso su di lui che gli sfiorava le labbra con le proprie.

    Aveva lasciato il campo. Non era scappato, questo no, ma se ne era andato ferito a morte. Aveva perso di nuovo.

    Ritornò allora con la mente alla sera della partita vinta dai Jackals. Tsukishima si era preso un caffè e se ne era andato via, la sua figura alta fasciata nella giacca chiara come i suoi capelli, il passo lento.

    Quella stessa sera Tetsurō era invece finito a letto con Bokuto, una cosa senza complicazioni e strascichi, una nottata di sesso intensa e liberatoria per entrambi che li aveva visti salutarsi il giorno dopo come due amici, forse un po’ più intimi della media.

    La sua prima volta l’aveva vissuta proprio con lui, al liceo, ed era stata allegra, scalmanata, etilica. Avevano fatto un disastro, avevano riso, lo avevano rifatto meglio, dopo.

    Era stato bello ma tutto l’opposto di quello che aveva invece immaginato per lui e Tsukishima: qualcosa di silenzioso e intenso, da fare a occhi aperti, respirandosi a fondo, qualcosa di serio, qualcosa di bello sì ma per l’eternità.

    Qualcosa di impossibile.

    Intanto, davanti alla scalinata del museo, era un continuo via vai di macchine, taxi, invitati in tiro pronti a una promettente serata di pubbliche relazioni.

    Tsukishima si era accodato a un gruppo di persone dall’aspetto molto formale e rigido, ed era entrato con loro, non senza scoccargli un’ultima occhiata accigliata.

    Del resto, era un evento speciale, quello, tutto incentrato sull’inaugurazione di una sala del Museo nella quale veniva esposta per la prima volta al pubblico la ricostruzione, con parti fossili reali, dello scheletro di un Wakinosaurus Satoi.
    Il Godzilla giapponese.


    Un pretesto, in realtà, Tetsurō lo sapeva: quello che contava in circostanze di quel genere non era tanto il dinosauro in sé ma le mani che si sarebbero incontrate e strette nel roof restaurant dopo la visita guidata. Mani in pasta su tutto, mani ufficiali, mani nascoste che muovevano fondi, comunicazione, opportunità.

    E a quel punto, a lui interessavano solo due mani in particolare. Mani bianche, dita affusolate, aperte a muro. Quanto avrebbe voluto sentirsele addosso, non riusciva a ricacciare indietro quell’ultimo desiderio che lo tormentava da anni.

    Uno squillo sul cellulare lo riportò con i piedi per terra.
    Bokuto, che era a Sendai su segnalazione del suo procuratore per valutare eventuali ingaggi.

    “Bro, come te la passi?” Il gufo, con il suo vocione. Il tono era quello di uno che voleva andare a bere qualcosa.
    “Bro, nonostante sia sabato sera sto lavorando…”
    “Tu lavori troppo. Dovresti rilassarti ogni tanto…”

    Il tono ora si arricchiva di altre sfumature.

    Bokuto era così, impulsivo e immediato, ti cercava un secondo dopo che il suo cervello gli aveva suggerito di farlo.
    Non era però sempre il cervello a muoverlo, c’era almeno un altro organo importante del suo corpo chiamato in causa - e in quella circostanza era certo che non si trattasse propriamente del cuore, ma di qualcosa di altrettanto grande e ingombrante sebbene di una sensibilità più terra terra - e dato che quella sera Tetsurō aveva affinato il naso e arricciato le vibrisse a causa del biondo, aveva il sospetto che il suo amico un po’ più che intimo volesse proporgli qualcosa da fare esclusivamente in due e certamente non in un luogo pubblico.

    Quella sera Tetsurō però non se la sentiva di cedere a certe tentazioni.
    Non che non gli piacessero certe situazioni con il suo Bro, che era un tipo divertente prima, dopo e durante e che soprattutto era una fonte inesauribile di idee geniali quanto a posizioni da tenere, per cui con lui gli amplessi erano sempre atletici e molto soddisfacenti.

    Il fatto era che, improvvisamente, il sesso cessava di essere un fatto divertente. Era un fatto serio, invece, un fatto di testa, uno dei tanti aspetti in una relazione che Tetsurō avrebbe voluto costruire con qualcuno e Bokuto era prima di tutto un amico un po’ sui generis, di cui non era innamorato e con il quale alla fine non c’era nulla da costruire oltre quanto avevano costruito già in anni di frequentazione.

    “Bro, non è serata…”
    “Uhm… non ti piaccio più?” Il gufo si lasciò sfuggire un lamento comico.
    “Stop! Frena… tu mi piaci, Bro, la tua autostima con me è a posto!…”
    Come farglielo capire?
    “Ecco… mettiamola così: non voglio staccare il cervello, stasera. Sto messo un po’ male, forse, ma stranamente mi va bene così.”

    Mentre parlava con il suo Bro, stava salendo le scale che portavano all’ingresso del Museo e già stava cercando il Quattrocchi con lo sguardo.

    Stavolta non avrebbe fatto passi indietro e sarebbe tornato alla preistoria - già, serata ideale quella, con il dinosauro! - al mondo ormai lontano, ai momenti fossilizzati nell’ambra della memoria del liceo.

    Voleva sapere di lui, del motivo per il quale aveva mollato i Sendai Frogs e del perché si stesse intrattenendo con quei personaggi di alta caratura.

    Improvvisamente gli venne in mente che forse Tsukki poteva essere diventato qualcuno di importante.

    Tsukki, come cinguettava sempre Yamaguchi. Chissà se erano stati insieme, se stavano insieme.

    Chissà se dopo quel bacetto consolatorio dopo il Kamomedai ce n’erano stati altri meno delicati, un po’ più come quelli che Bokuto gli dava quando lo inchiodava al letto con le sue ali spiegate.
    Un po’ come le altre cose poco delicate che facevano insieme.

    Sotto il corpo di Bokuto l’universo assumeva infatti contorni caotici, gli effetti del Big Bang continuavano a farsi sentire sulla pelle che bruciava sotto la scia dei suoi baci voraci, dati con le labbra spalancate, piene di sorrisi e ansiti.
    Peccato che non fossero innamorati, peccato che Bro alla fine rimanesse solo Bro.

    Chiacchierò ancora qualche minuto con il suo Bro, che nel frattempo si era ammansito e aveva accettato di andare in bianco.
    Rimasero d’accordo per un caffè da prendere insieme in stazione e si salutarono.

    Tetsurō respirò a fondo ed entrò nell’atrio, dove si era già raccolta una piccola folla attorno a una giovane donna in uniforme che era sicuramente una delle guide del Museo.
    Puntò dritto verso il biondo, che era in piedi accanto al guardaroba.

    La curiosità ha ucciso il gatto. Sì, d’accordo, però era anche vero che i gatti avevano sette vite. O erano nove. No, quelle erano le code.

    Suo malgrado, Tetsurō si trovò stampato sulle labbra un sorriso incerto ma ormai aveva deciso.
    Tsukki, Kei, era una calamita. Il polo negativo, probabilmente, di un circuito mai chiuso.

    “Tsukishima…” gli disse arrivandogli alle spalle.
    Lui si voltò e Tetsurō si trovò davanti il suo bel viso, gli occhi chiari grandi e luminosi.

    Kei aveva tolto gli occhiali e a lui aveva semplicemente tolto il fiato.



    (Continua...)


    Qualche nota: Kei e Tetsurō si affrontano per la prima volta in una amichevole fra il Karasuno e il Nekoma. Poi si rivedranno in un "training camp" durante la Golden Week e qui Tetsurō farà capire a Kei che deve impegnarsi non vuole rimanere indietro. Tetsurō ha diciotto anni, Kei sedici.
    Alla fine del manga, si scopre che Tetsurō va a lavorare per la JVA come promoter e che Kei, studia all'università di Sendai giocando nel frattempo in seconda divisione con i Sendai Frogs.
    I Jackals sono la squadra di prima divisione in cui gioca Shoyo Hinata, mentre negli Adlers gioca Tobio Kageyama, si affronteranno alla fine del manga in una partita memorabile.
    Akiteru è il fratello maggiore di Kei, protagonista di una vicenda di fallimenti sportivi sempre nell'ambito della pallavolo che lascerà a Kei l'amaro in bocca e che lo renderà ipercritico verso se stesso. Kei è infatti sempre in bilico fra l'amare e l'odiare la pallavolo.
    Bokuto è un "gufo", dal nome della sua squadra, il Fukurodani
    Tadashi Yamaguchi è amico di Kei dai tempi delle elementari
     
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    Il moretto e il biondo! Bene, bene!
    Il biondino algido e pungente ma anche insicuro (almeno questa è l'idea che mi da nell'anime) e l'impertinente e tenerone gattone 3_3
    Insomma questo bel micione vuol far capitolare Kei ... non vedo l'ora :ihihi:
     
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    CITAZIONE (SusinoSan @ 21/4/2024, 21:23) 
    Wow! Wow! Wow! :ghgh:

    Il moretto e il biondo! Bene, bene!
    Il biondino algido e pungente ma anche insicuro (almeno questa è l'idea che mi da nell'anime) e l'impertinente e tenerone gattone 3_3
    Insomma questo bel micione vuol far capitolare Kei ... non vedo l'ora :ihihi:

    Eccomi!
    Micione è la parola giusta ma c'è anche un lato pantera nascosto ben bene!
    Il biondino è fra i personaggi che amo di più <3
    Metto una foto di entrambi, perché immaginare è bello ma se abbiamo più materiale viene tutto meglio

    Kei, sotto la luna :



    E il micio-pantera:

     
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    Ok, all'inizio mi è sembrato strano, ho dovuto cambiare registro per leggere di questo Tetsuro X) ero ferma al "dannatamente etero".

    Mi piace questo incipit! Adoro come scrivi, io non conosco mezza tavola del manga da cui trai ispirazione per i personaggi eppure leggo e mi sembra di conoscerli da sempre.

    Ovviamente l'hype ora è alle stelle, cosa risponderà mai il bel biondino?

    Avanti così...però...ti dico già che 3 parti sono troppo poche!! :uuu: :yea:
     
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    CITAZIONE (Galadriel1978 @ 22/4/2024, 12:19) 
    Mi piace questo incipit! Adoro come scrivi, io non conosco mezza tavola del manga da cui trai ispirazione per i personaggi eppure leggo e mi sembra di conoscerli da sempre.

    Credimi, questa tua riflessione mi rende felicissima! Il fatto di coinvolgere la tua attenzione e di farti avere delle aspettative, anche se la base della storia non è nota, mi gratifica tanto!
    Soprattutto, se la tensione resta alta.... yuppiiii :uuu: !
    A presto per il seguito :siiii:
     
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    Seconda Parte



    Kei si ritrovò improvvisamente catapultato nel passato.

    Poco distante da lui, sulla strada che costeggiava il Museo della Città di Sendai, Kurō Tetsurō scendeva da un taxi, vestito con estrema cura.
    Lo vedeva osservare con un certo interesse l’enorme e moderno edificio di cemento e vetro che ospitava l’evento di quella sera. Evidentemente, stava venendo proprio lì.

    Come mai non aveva notato il suo nominativo tra gli invitati? Non aveva stilato lui le liste… forse quelle che gli avevano consegnato i suoi collaboratori erano incomplete?

    Mentre lo vedeva avvicinarsi alla scalinata che conduceva all’ingresso, Kei si aggrappò con la mente al ricordo di un’estate di più di dieci anni prima, al momento in cui, nonostante lo avesse già conosciuto in un’altra occasione, aveva guardato Kurō Tetsurō per la prima volta con attenzione, curiosità, timore e assoluta diffidenza.
    E attrazione.

    Tutto era partito da lì, dall’artiglio che il gatto era riuscito a conficcargli nel cuore. Il sospetto che nutriva nei confronti delle proprie inclinazioni sessuali si era trasformato in certezza al suo cospetto, e l’agnizione era stata potente e rabbiosa, benché nulla di tutto questo fosse trapelato durante quella infinita Golden Week.

    Nella palestra numero 3 del Liceo Shinzen si era così trovato a dover affrontare le sue frustrazioni per la pallavolo e quelle legate al suo corpo che si risvegliava da una specie di letargo autoindotto, e tutto a causa di un bel ragazzo come probabilmente ce n’erano tanti in giro… ma lui era lui!

    Kei allora aveva quasi sedici anni, era un primino taciturno, indietro rispetto al resto della squadra, demoralizzato, fuori tempo, in guerra con se stesso perché non voleva annullarsi, come aveva fatto suo fratello Akiteru, davanti agli impossibili sogni di gloria di un club di pallavolo.

    Kurō invece appariva sicuro, dominante. Largo di spalle, testa alta, occhi taglienti come lame, voce anche più tagliente.
    Lo chiamava, lo trascinava sotto rete, lo ammoniva, gli diceva cose che non lo offendevano benché lo colpissero per la loro franchezza.

    Era stato anche grazie a lui se non aveva gettato spugna e ginocchiere e aveva proseguito. Nel tempo, aveva dovuto ammettere con se stesso che se all’epoca aveva deciso di rimanere in campo a giocare, era stato soprattutto perché in questo modo era sicuro di rivederlo.

    Gli anni erano passati così, con Kurō avversario di giorno e trasformato, di notte, in una specie di sogno proibito, blindato, ricorrente e bagnato.

    Solo Yamaguchi aveva intuito che qualcosa lo agitava e lo spazientiva, ma Tadashi lo conosceva ormai da una vita ed era stato anche per quella ragione che proprio con lui Kei aveva ceduto.

    Si erano scambiati il primo bacio ai nazionali, nello spogliatoio, e poi c’era stata una sola prima volta, consumata con impazienza in camera sua un giorno che i suoi erano partiti e Akiteru era in trasferta con la sua patetica squadretta universitaria.

    Aveva passato quel pomeriggio a farsi fare cose che avrebbe voluto gli facesse qualcun altro.
    Un’estasi violenta e disperata, la sua, la prima estasi causata del contatto ravvicinato con un altro corpo.
    La verità nuda e cruda raccontata però alla persona sbagliata.

    Tadashi, che gli voleva bene, aveva poi incassato il suo rifiuto ad avere una storia con lui. Tadashi, che ora aveva un compagno ed era felice.

    E poi, una sera di pochi anni prima, aveva preso in pieno un colpo che non si sarebbe mai immaginato di incassare.

    I Jackals avevano vinto contro gli Adlers e Kei era fuori del palazzetto dello sport ad aspettare Hitoka, che era andata insieme a Tadashi a riprendere la sua auto nel parcheggio.
    Aveva visto uscire Kurō insieme a Bokuto, lui in abbigliamento formale, una targhetta visibile sulla giacca, e l’altro con l’uniforme della squadra.
    Non li vedeva da tempo e mentre Kurō appariva solo un po’ più alto e sempre meravigliosamente piazzato, Bokuto era diventato ancora più imponente.

    Non aveva fatto in tempo a gestire la sorpresa che aveva visto Bokuto allungare le mani sul viso di Kurō per poi baciarlo con avidità. Gli aveva detto qualcosa all’orecchio, Kurō aveva annuito con un sorriso spudoratamente complice ed erano spariti dentro un taxi.

    Una settimana dopo, il professore che stava seguendo la sua tesi di laurea in Paleontologia e per il quale già stava lavorando al progetto sul Wakinosaurus Satoi, lo aveva convocato nel suo studio.

    La facoltà aveva bisogno di persone come lui, metodiche nello studio e dal grande potenziale. Si era liberato un posto come assistente e con il suo curriculum, gli esami in regola e i suoi risultati, se avesse accettato di intraprendere la strada accademica avrebbe potuto entrare a far parte del board scientifico che supervisionava il progetto sul dinosauro, collegato al Museo di Sendai.

    Questo però avrebbe richiesto da parte sua una concentrazione e una dedizione totali alle attività dell’Ateneo.

    Kei, che era bravo in matematica, aveva capito subito che quattro ore di allenamento quattro volte a settimana, più le partite con i Sendai Frogs, non sarebbero state gestibili da parte sua con quel nuovo carico di lavoro e aveva preso la sua decisione, tanto non sarebbe mai passato nella Prima Divisione, giocava per inerzia ormai mentre all’università poteva finalmente trovare la sua strada.

    Soprattutto, allontanarsi definitivamente dalla pallavolo lo avrebbe aiutato ad allontanarsi da Kurō, il fantasma sempre in agguato, il fantasma che baciava un uomo e che per quel preciso motivo si riaffacciava, stavolta però fatto di carne, sangue e ossa.
    Fatto di parti nascoste a cui ora pensava in maniera ancora più ossessiva. Esattamente come in quel preciso istante sui gradini del Museo. E quando gli occhi di Kurō, che si erano lasciati distrarre dalla magnificente modernità esteriore del Museo intercettarono i suoi, Kei comprese che non era affatto finita e il solito automatismo, il gesto che da solo teneva in equilibrio tutti i suoi nervi scoperti, si manifestò con lentezza rassicurante: la sua mano si sollevò e le sue dita sistemarono sul naso la montatura degli occhiali.

    Era nervoso ma gli sarebbe passata.

    Gli rivolse uno sguardo rigido, e quasi neanche rispose al suo cenno di saluto. Quello non era un palazzetto dello sport o una palestra, era finalmente il suo territorio, e lui non era più un primino frustrato o un giocatore a metà: era Kei Tsukishima, laureato in Paleontologia, relatore di un progetto prestigioso, pronto ad accompagnare in sala il sindaco e il ministro.

    Nessuno poteva soffiargli il posto, non c’era un Hinata più bravo di lui a farsi strada, un muro più alto.
    Stavolta era lui, il muro.

    Il Preside della facoltà gli fece cenno di accompagnare gli ospiti d’onore nell’atrio, il primo gruppo era pronto.

    Si voltò nuovamente verso la scalinata. Kurō era al telefono. Gli lanciò un’ultima occhiataccia e rientrò, pregando che fosse abbastanza chiara la sua non volontà di interazione.

    Continuava ad avere il suo problema con gli occhiali. Sentiva piccole gocce di sudore che gli imperlavano il naso. Li aggiustava e riaggiustava ma continuavano a scivolare e finalmente, quando ebbe affidato alla guida il primo gruppo, si avvicinò al guardaroba alla ricerca di un fazzoletto.

    Il secondo gruppo si stava lentamente formando. Se Kurō si fosse aggregato a quello, per una mezz’oretta, la durata media della visita, non avrebbe rischiato nulla, e alla caffetteria del roof ci sarebbe stata troppa gente per fare conversazione libera.

    Respirò a fondo e poi sentì la sua voce alle spalle.

    “Tsukishima…”

    Si voltò e anche senza gli occhiali, che stava pulendo con il fazzoletto, riuscì a vedere chiaramente quegli occhi assassini, che bucavano anche la nebbia che lo circondava.

    Istintivamente tentò di sistemarsi le lenti sul naso anche se ce le aveva in mano.

    Con estremo imbarazzo, le reindossò velocemente, sperando che lui non avesse colto quell'atto mancato che raccontava tutta la sua agitazione.

    Il giovane uomo che aveva davanti non era cambiato molto. Era più affascinante, con quel completo da manager, il distintivo della JVA, la peluria leggera che gli accarezzava le guance. I soliti capelli corvini, assurdi, i soliti occhi magnetici che vedevano anche al buio.

    Riuscì a formulare un’unica domanda sensata, banale, utile.
    “Kurō. Come mai sei qui?”
    “Mi avete invitato voi, credo.”
    “Non io. E non immaginavo…”
    “Che potesse interessarmi la cultura?… Mi sottovaluti, Quattrocchi.”
    “Scusami. Non volevo insinuare nulla, solo che non mi aspettavo di vederti qui a Sendai e per giunta qui al Museo. Mi dai l’aria di essere una persona sempre molto occupata.”
    “È vero, sono venuto a Sendai anche per alcune attività dell’Associazione. E poi c’è anche Bokuto, qui in città.”

    Kei smise di colpo di sudare. La nota fredda della delusione lo percorse tutto, dalla testa ai piedi. Era venuto per lui, quindi

    “Ah. Capisco.”
    Una voce impostata e gentile si infilò allora nella loro conversazione.

    “Professor Tsukishima, mi scusi... il Direttore la sta cercando e la attende di sopra in caffetteria.”
    La giovane addetta del Museo si inchinò e tornò ad accogliere gli invitati.

    Kurō si lasciò sfuggire un fischio basso.
    “Però… professore! Mi sono perso un po’ di puntate. Ora sei a buon titolo ancora più Quattrocchi di prima.”

    Lo disse senza la sua solita, fastidiosa ironia. Era cordiale, tranquillo, mentre Kei sentiva il cuore in una morsa gelida, che batteva veloce e con un rumore di vetri infranti.

    Era il momento di andare.

    “Buona visita, Kurō."
    “Grazie. Ehi ma…”


    Non gli lasciò finire la frase e salì le scale che dall’atrio e dal guardaroba conducevano al roof.


    Era pur sempre una serata di lavoro, una cosa seria, più seria della pallavolo.
    Più seria di ciò che continuava a provare con ostinazione per quel giovane uomo atletico e a suo agio in una tuta da ginnastica come in un completo, che mostrava al mondo tutta la sua sicurezza senza ostentarla.

    Non ascoltò assolutamente nulla di quanto gli venne detto durante l’aperitivo al roof. Incassò i complimenti senza battere ciglio, infilandoli da qualche parte a sostegno di ciò che rimaneva del suo amor proprio, fatto a brandelli da quel maledetto gatto nero.

    Eppure si ostinava a guardare che ore fossero, a sobbalzare in ansia tutte le volte che sentiva voci nuove entrare in sala.

    Il suo gruppo si presentò, alla fine del giro, ma lui non c’era.

    Se ne era andato! Ma era quello che voleva, no?
    No, non lo voleva.
    Sì che lo voleva, altrimenti non lo avrebbe trattato con quella freddezza
    Ma no, era disperato all’idea che fosse svanito nel nulla...

    Imbastì una serie di scuse convincenti e scese a perlustrare il territorio.

    L’ultimo gruppo stava lasciando il padiglione.

    Navigò controcorrente verso la sala che intanto si era svuotata.

    Kurō era lì, seduto al centro della sala, su una panca, al cospetto del dinosauro.
    Lo fissava attentamente e solo quando fu abbastanza vicino si accorse di lui.
    “Però. È impressionante.”

    Si spostò lentamente per fargli spazio. Kei, in silenzio, si sedette accanto a lui, percependo chiaramente il calore del suo corpo.

    “Ci sono voluti quattro anni per ricostruirlo a partire dai fossili che abbiamo ritrovato.”
    “E tu sei stato bravo, vero?”
    “Sì.”

    Era la verità.

    “Sai che cosa mi sembra, visto da qui? Un giocatore che sta aspettando la palla! Osserva bene: le zampe posteriori piegate, una in avanti, le zampe anteriori tese verso l’alto. Un Mikasa o un meteorite?”

    Kei sorrise. La tensione stava inspiegabilmente scemando.

    "Vediamo... se dall'altra parte della rete ci fossero Ushijima, o Azumane... forse la seconda delle due!" Esclamò Kurō ridendo.

    “Non riesci proprio a pensare ad altro che non sia la pallavolo?” Replicò Kei con il tono ironico che riservava a persone come Hinata e Kageyama, alle persone assurde, insomma.

    Si aspettava una risposta a sua volta ironica ma così non fu.

    Kurō si era girato verso di lui, ignorando ora il bestione fossile.
    “A dire il vero, in questo momento sto pensando ad altro…”

    Gli occhi del gatto trafficavano con i suoi e Kei lo avvertiva chiaramente ma non riusciva a capire né a chiedergli perché lo stesse fissando così.

    “Professor Tsukishima, il sindaco vorrebbe salutarla.”
    La solita solerte giovane addetta del Museo interruppe il flusso dei suoi pensieri.

    Kei si alzò di scatto. Meglio tagliare corto.

    “Devo andare. Spero che la visita sia stata di tuo interesse.”

    Kei…”

    Si voltò lentamente verso la voce che lo aveva chiamato per la prima volta con il suo nome.

    “S셔
    “Hai un po’ di tempo, più tardi? Per bere qualcosa.”
    “Con me? Non hai nulla di meglio da fare?”
    “È proprio la cosa migliore che io possa fare, invece.”

    Kei stemperò la confusione nell’unica maniera che gli era congeniale. Pianificando.
    A quel punto, non gli importava di essere un rimpiazzo per passare un po’ di tempo se Bokuto non era disponibile.

    “Fra tre quarti d’ora sono libero. Il Museo chiude ma la caffetteria resta aperta. Mi trovi lì.”

    (Continua…)
     
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    Accidenti ... il ragazzo non aspettava altro ... e nemmeno lo sapeva :languo:
     
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    CITAZIONE (SusinoSan @ 23/4/2024, 15:03) 
    Agganciato :clap:

    Accidenti ... il ragazzo non aspettava altro ... e nemmeno lo sapeva :languo:

    Quando si dice "Metti una sera ... al Museo" :ahah:
     
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    Fantastico vedere come siano l'uno il rimpianto dell'altro. Ma meno male che tra i due almeno Tetsuro non è indeciso! Avanti così, e ora tutte nascoste in caffetteria ad origliare quel che si diranno :rolleyes:
    Continuo a pensare che 3 parti siano troppo poche socia... Pensalo pure tu, te prego :languo:
     
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    CITAZIONE (Galadriel1978 @ 24/4/2024, 07:51) 
    Wowowow!
    Fantastico vedere come siano l'uno il rimpianto dell'altro. Ma meno male che tra i due almeno Tetsuro non è indeciso! Avanti così, e ora tutte nascoste in caffetteria ad origliare quel che si diranno :rolleyes:
    Continuo a pensare che 3 parti siano troppo poche socia... Pensalo pure tu, te prego :languo:

    Eccomi, socia!
    In realtà, la storia è nata in tre parti e quando posterò la terza capirai il motivo per cui non proseguirà, però sono felice che tu voglia leggere altro!!
    I due caratteri anche nel manga sono molto diversi, Kurō è solido e sicuro, allegro e espansivo mentre Tsukishima compensa la sua insicurezza con un carattere duro, silenzioso, che rasenta lo snobismo e l’antipatia. È un ragazzo fragile e solitario, sono gli opposti perfetti.
    Su di loro ne avevo scritta anche un’altra, se c’è gradimento la posterò 😉.
    Se riesco, stasera metto il finale 🤩

    *Accorpati i due post scritti uno dietro l' altro
    @admin


    Eccoci all'epilogo <3 :]


    Terza Parte

    Tetsurō restò ancora qualche minuto in contemplazione davanti a Godzilla.

    In primo luogo, per lasciare che le emozioni smettessero di vorticare nel suo cuore e si stabilizzassero. Kei aveva accettato il suo invito e per come si erano ritrovati quella sera, per la piega complicata che gli eventi sembravano aver preso, il fatto stesso che si sarebbero rivisti finalmente da soli - senza direttori, rettori, imperatori - già di per sé lo elettrizzava.

    Non sapeva esattamente che cosa volesse ottenere, forse solo parlare, avere una possibilità, o semplicemente voleva essere sicuro una volta per tutte che non ne avrebbe mai avuta una - ma gli avrebbe detto chiaro e tondo che cosa gli scatenava la sua semplice vicinanza. Ogni lasciata è persa e lui aveva lasciato troppo al vento, al caso, all’indecisione.

    E poi, c’era quello scheletro così imponente che lo affascinava davvero.

    Kei aveva avuto un ruolo fondamentale in quel progetto, e la magnificenza che emanava da quel mastodonte perfettamente ricostruito era davvero incredibile e lo aiutava a formare piano nella sua mente un’altra considerazione: il dinosauro aveva il potere di trasportarlo indietro nel tempo, ancora una volta.

    Era incredibile come i dieci anni passati da quando aveva conosciuto Kei fossero trascorsi sovrapponendosi l’uno all’altro, stratificandosi come una roccia.

    Era incredibile come i ricordi che riaffioravano, strato dopo strato, avessero per lui un sapore familiare ma anche nuovo, sconosciuto.

    Dieci anni prima avrebbe voluto sfiorare le labbra di Kei, e voleva farlo anche in quel preciso istante, ma il sentimento che provava ora era del tutto diverso.

    Una consapevolezza nuova si faceva strada e comprendeva finalmente per quale ragione quell’animale preistorico lo avesse colpito così profondamente: così come le antiche ossa, montate insieme alle parti ricostruite, restituivano una figura completa, allo stesso modo i ricordi scavati fra le rocce del passato si combinavano insieme agli attimi del presente in maniera armoniosa.

    In quel momento si sentiva bene, come se fosse arrivato a un punto tale da potersi aspettare di tutto.

    Ripensava a Kei sotto rete, magro e affaticato nella palestra numero 3 dello Shinzen. Kei che non mangiava mai abbastanza, l’ultimo ad arrivare dopo una corsa. Un pesce fuor d’acqua, sottile come un giunco, piegato alla loro volontà di giocare nonostante ogni schiacciata che non riusciva a murare incrinasse un po’ di più la sua fragile sicurezza.

    Rivedeva Kei alla partita dei Jackals, con la sua giacca chiara e i suoi jeans a pelle, elegante e aristocratico. E lui, che dopo si faceva caricare in un taxi da Bokuto, ufficialmente per divertirsi con il suo Bro ma nella realtà perché, nonostante tutta la gente che aveva intorno continuamente per lavoro o per diletto - adesso lo capiva chiaramente - senza qualcuno da amare, senza Kei Tsukki Tsukishima sentiva di essere solo un corpo, mosso da esigenze note solo ai propri istinti.

    E poi Kei senza occhiali, bello come la luna piena, un uomo ormai, che lo aspettava per un drink. Kei, che avrebbe voluto spogliare e toccare ma non come faceva con Bokuto o con chissà chi altro, Kei che lo faceva impazzire perché sembrava lontano e silenzioso, fra rocce preistoriche, eppure finalmente così vicino.

    Si alzò e si diresse alla caffetteria, non ne poteva più di aspettare lì sotto, ormai aveva tutto chiaro.

    Non voleva però disturbarlo, avrebbe trovato qualcuno con cui chiacchierare e così fece, in disparte.

    Nel mentre, lo osservava e il suo cuore batteva più forte quando vedeva apparire un sorriso sulle sue labbra - e incredibilmente Kei sorrideva e rideva anche, a suo agio nello spicchio di universo che si era finalmente guadagnato, nel suo nuovo sistema solare.

    La pallavolo era un fatto lontano, quello sì, ma non cambiava nulla per lui perché questo nuovo Kei lo attraeva ancora di più.

    Attese pazientemente che anche gli ultimi ospiti andassero via e poi intercettò il suo sguardo e si avvicinò al tavolino un po’ defilato che aveva scelto per loro. Era accanto alla vetrata del roof, affacciato su una luna mozzafiato.

    _____

    Dal canto suo, Kei si era chiesto a lungo se quella specie di appuntamento fosse una buona idea. Arrivato a quel punto, avrebbe dovuto cercare di disintossicarsi e non rischiare con una dose maggiore, e invece ne voleva di più perché era da tempo che non ne assumeva.

    Kurō, si ripeteva continuamente, non Tetsurō.

    Non sarebbe mai riuscito a pronunciare normalmente il suo nome davanti a lui, perché sapeva che avrebbe avuto lo stesso tono che aveva quando lo sognava o lo invocava, da solo, al buio.

    Il tono di un’ossessione.

    Fissava intanto la luna piena dietro il vetro e aspettava. La caffetteria aveva abbassato l’intensità delle lampade per non interferire con la luce naturale che pioveva dal cielo.


    E poi lui arrivò.

    “Cosa bevi?” Gli chiese chiamando con la mano un cameriere, mentre era ancora in piedi.

    “Un Martini andrà bene.”

    “Ti seguo.”


    Billie Holiday, a volume basso si fece spazio con discrezione. Aveva gusti raffinati, il barman.


    Furono serviti subito.

    “Come è andata allora la tua serata?” Indagò Tetsurō.

    “Direi piuttosto bene. La tua?”

    “Anche la mia. Ho riconosciuto un paio di persone del Dipartimento per lo Sport della Prefettura e ci ho fatto due chiacchiere. Complimenti, il vostro dinosauro ha davvero colpito tutti.”

    “Non è il nostro dinosauro. Noi non abbiamo fatto granché, l’abbiamo solo tirato fuori dal passato.” Puntualizzò Kei.

    “Mi piace questa cosa del tirare fuori dal passato. Un po’ come con i ricordi, vero?” Chiese Tetsurō.

    “Non amo molto il passato, nonostante ci lavori ogni giorno.”

    “Invece io penso che in fondo tu sia come me.”

    Kei bevve un sorso del suo drink. Gli occhiali iniziavano a scivolare di nuovo sul naso. Le dita, subito veloci in soccorso.

    “E come sarei?”

    “Sei uno che ama ricostruire. Anche io di recente l’ho fatto. Sono tornato indietro nel tempo alla nostra Golden Week e ho provato a ricostruire che cosa mi ha portato qui, a questo tavolo. E credo di averlo finalmente capito.”

    “Vuoi forse parlare con me dei tuoi successi professionali? Di quanto la pallavolo sia importante per te? Vuoi parlare delle tue vittorie con un perdente?” Commentò Kei con un sorriso divertito e amaro allo stesso tempo.

    Tetsurō allungò una mano fermandosi a un centimetro dalla sua e scosse la testa

    “Io non credo affatto che tu sia un perdente!”

    “Lo credono tutti, perché tu non dovresti? Alla fine non ho resistito neppure in V2, ero un mediocre e un mediocre sono rimasto.”

    “Ma.. Guarda che cosa hai messo in piedi stasera! Io non credo che tu sia un perdente, credo piuttosto che tu sia riuscito ad andare oltre e che abbia trovato la dimensione giusta per te. Questo non è perdere, semmai è il contrario.”

    Si protese verso di lui, sorridendo alla reazione dell’altro, che impercettibilmente si era fatto indietro.

    Kei, infatti, non era abituato a quel tipo di complimenti ma solo a quelli che gli faceva Tadashi fin dalle elementari: acritici, pieni di trasporto, nemmeno fosse un supereroe. Con Tetsurō gli sembrava invece di riceverli per la prima volta e, come con tutte le novità, si metteva sulla difensiva.

    “E qui dentro risplendi, esattamente come quella luna!”

    E il gatto allungò una zampa verso il disco ormai giallo che splendeva silenzioso e si avviava verso il tramonto.

    Kurō, non Tetsurō! mormorava intanto Kei a bocca chiusa, intestardito nel suo inutile mantra. Il suo profumo era ancora più intenso, si mescolava ai fumi dell’alcol, lo stordiva.

    Perché era lì? Perché non era piuttosto con Bokuto? Cercava davvero una distrazione? Se era così, perché proprio con lui?

    Gli occhiali, le dita nervose. E poi le mani di lui che scattarono verso il suo viso, verso le asticelle. Un secondo e via, glieli tolse.

    “Kurō! Ma… che… fai?” Disse Kei a bassa voce, stizzito ma non abbastanza per essere credibile.

    “Ti prego, puoi chiamarmi per nome? Tetsurō. Vorrei sentirlo così… rivestito solo della tua voce…”

    “A che gioco stai giocando?”

    “Non sto giocando.”

    “Cos’è, Bokuto ti ha dato buca e questa sera non sai come occupare il tempo? Come divertirti?”

    Tetsurō spalancò i suoi occhi, diventati di colpo incredibilmente grandi. La piega che la conversazione aveva preso era ormai surreale, oppure fin troppo reale.

    “Bokuto…?”

    “Hai capito bene! Io… vi ho visti quella sera, dopo la partita dei Jackals…vi siete baciati e avete preso insieme un taxi.”

    Tetsurō non credeva alle proprie orecchie. La stessa identica sera in cui si era posto il problema se allungare una mano sulla sua spalla semplicemente per salutarlo, lui lo aveva visto amoreggiare con un altro. Ma visto che erano in ballo, non sarebbe rimasto in silenzio!

    “Se è per questo, anche io anni fa ti ho visto in uno spogliatoio mentre baciavi Tadashi Yamaguchi! Avevate appena perso contro il Kamomedai, e io… io mi ero fatto un giro perché volevo parlare con te. Anche noi avevamo perso - era la mia ultima partita prima del diploma, avrei saputo trovare le parole se tu ne avessi avuto bisogno! - ma tu avevi già chi ti stava consolando…”

    Kei ora aveva le guance in fiamme. A ventisei anni quasi compiuti, arrossiva ancora. Provava imbarazzo per essere stato visto con Tadashi e soprattutto per essere stato visto da lui.

    “E comunque sono io che ho dato buca a Bokuto, e devo anche dirti alcune cose e se non te le dico ora, quel dinosauro al piano di sotto collasserà sotto il suo stesso peso e i pezzi che hai tirato fuori torneranno sottoterra!!...”

    “Ma di che cosa stai parlando??”

    “Del fatto assolutamente trascurabile che dieci anni fa mi sono innamorato di te!!”


    And then there suddenly appeared before me
    The only one my arms will ever hold
    I heard somebody whisper "Please adore me"


    And when I looked, the moon had turned to gold!



    Per infiniti secondi, si fissarono. Uno stillicidio di respiri, e battiti, finché Kei riuscì a dire “Ridammi gli occhiali, per favore.”

    “Non hai nient’altro da dire?…”

    “Tetsurō… ridammi gli occhiali. Io…ho bisogno di vederti ...”

    Tetsurō ora lo guardava con occhi che finalmente straripavano d’amore. Gli occhi di un gatto che aveva appena toccato la luna.

    Gli porse gli occhiali e prese fiato mentre l’altro lo metteva a fuoco.

    “Hai bisogno anche che te lo dica di nuovo? O che ti dica che sono tuttora innamorato di te?”

    “No…”

    “Hai bisogno di tempo?”

    “No… ho bisogno di te.”


    _____



    Un bottone dopo l’altro, per scoprire piano che cosa si nascondevano ancora.

    Un neo sulla scapola di Kei, un puntino che risaltava sul biancore della sua pelle, una cicatrice sull’addome di Tetsurō - lascito di un’avventura un po’ pericolosa vissuta da bambino per recuperare l’ennesimo pallone finito nel filo spinato.

    Le mani di entrambi, così diverse eppure simili, per via dei polpastrelli e dei palmi induriti da anni di contatto con la palla, vagavano, si fermavano. Ci andavano piano.

    Che fretta potevano avere?

    Kei, soprattutto, aveva bisogno di tempo. Tetsurō lo aveva immaginato, aveva intuito che, per come era fatto, preferisse starsene da solo piuttosto che cercare avventure per riempire la solitudine.

    Lo capiva dalle sue reazioni, dalla sorpresa, dai tentennamenti, e il tutto era una miscela esplosiva che glielo faceva desiderare ancora di più.

    Kei doveva esserne consapevole perché nonostante tutto era impaziente e i suoi occhi a tratti sembravano ordinargli di farlo e basta ma Tetsurō rispondeva con i suoi con calma

    E così restavano fermi a lungo, e poi ricominciavano, e poi di nuovo fermi.

    E parlavano. Tetsurō non aveva mai parlato così tanto fra le lenzuola, con Bokuto parlava molto dopo, anzi il Bro gli smontava le orecchie a forza di chiacchiere, ma erano amici da una vita, per quanto strana fosse quell’amicizia mescolata al sesso.

    Fare l’amore invece era un’altra cosa, era proprio questo: sentirsi insicuri, chiedere, sorridere delle proprie e altrui inibizioni e prendere l’iniziativa gustandosi l’abbandono dell’altro.

    E poi, tenere gli occhi aperti, come aveva sognato Tetsurō per tutti quegli anni, con la dolcezza selvatica del suo primo amore che lo investiva in pieno e lo lasciava senza parole.

    Kei, che fino a qualche ora prima si sentiva ancora il ragazzo inchiodato sotto rete, partita dopo partita, ad ammirarlo, così sicuro di sé, scanzonato, sarcastico, invadente e inconsapevole di tutto, non lo riconosceva quasi, o forse lo conosceva finalmente per come era davvero. Fatto di fuoco, come lui.


    _____


    “Bro… ieri sera mi hai lasciato da solo e sono ripartito subito per Tokyo!”

    Il lamento di Bokuto, che riusciva a sentirsi solo al mondo anche in mezzo all’incrocio di Shibuya.

    “Bro… a proposito, devo raccontarti un po’ di cose.” disse Tetsurō.

    “Anche io!! Sai chi ho incontrato alla stazione, al mio arrivo? Akaashi! Non lo vedevo da anni e… non so, aveva una faccia strana che mi ha messo un sacco d’ansia. Ma ansia buona… e ho provato anche una strana sensazione, bella… cioè, siamo andati a bere qualcosa e siamo rimasti a parlare tipo fino alle tre. E lui mi guardava in un modo…”

    “Bro. Keiji è sempre stato innamorato di te. Sei un caso disperato!”

    “Eeeeeh!? Dici?”

    “Dico, dico…. Vi siete scambiati i numeri?”

    “Sì. Oggi ci vediamo. Ma cos’è che volevi raccontarmi?…”

    Da dove iniziare?

    “Ecco, ho scoperto che mi piacciono i dinosauri…”

    (FINE)

    Edited by .Rossella. - 24/4/2024, 23:55
     
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    Bellissimo finale, finalmente dopo 10 anni possono dirsi quello che provano. E pure il Bro forse forse si sveglia XD
    Bene bene, chissà che non ti scappi qualche altra mini FF per farci curiosare nel loro vissuto :yea:
     
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    CITAZIONE (Galadriel1978 @ 24/4/2024, 21:01) 
    Bellissimo finale, finalmente dopo 10 anni possono dirsi quello che provano. E pure il Bro forse forse si sveglia XD
    Bene bene, chissà che non ti scappi qualche altra mini FF per farci curiosare nel loro vissuto :yea:

    Sì, il Bro è il prossimo obiettivo 😝! mi frulla già nella mente, tra l’altro il personaggio di Akaashi, di cui parla Tetsurō, è un altro elemento meraviglioso di questa storia.
    Per come avevo impostato questo racconto, la prima parte doveva essere tutta dal punto di vista di Tetsurō, la seconda di Kei e la terza di entrambi perché era il momento del chiarimento e dell’andare oltre, era per questo motivo che non potevo aggiungere altro, per quanto fossi tentata di farlo.
    Però c’è un’altra cosetta che ho scritto di loro, su quando si incontrano la prima volta, e che potrei caricare qui, devo solo sistemare l’html.
    Grazie socia 😘😘!
     
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    Ops!!!
    Sono parecchio indietro!!!
    Intento mi sono goduta la prima parte!!

    Mi piace sempre come scrivi e descrivi

    c’era infatti sempre una sottile barriera a separare il successo dall'insoddisfazione, l’armonia dai conflitti. Sottile come una rete.

    stupendo!!

    e poi in una minuscola frase riesci a farci stare dentro un piccolo mondo:
    Si era fermato al metro e novanta e se lo portava benissimo.
    mi sono immaginata proprio lui!!

    Peccato che non fossero innamorati, peccato che Bro alla fine rimanesse solo Bro

    Sante parole! quante volte ho pensato anche io ...magari potessimo scegliere di chi innamorarci!
    Complimenti!
     
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    Recuperata tutta!!

    La verità nuda e cruda raccontata però alla persona sbagliata.
    che bella questa frase, esprime tanta insoddisfazione :grr:

    mentre qui finalmente la serenità di quando si trova il proprio posto nel mondo

    Kei, che era bravo in matematica, aveva capito subito che quattro ore di allenamento quattro volte a settimana, più le partite con i Sendai Frogs, non sarebbero state gestibili da parte sua con quel nuovo carico di lavoro e aveva preso la sua decisione, tanto non sarebbe mai passato nella Prima Divisione, giocava per inerzia ormai mentre all’università poteva finalmente trovare la sua strada.


    a suo agio nello spicchio di universo che si era finalmente guadagnato, nel suo nuovo sistema solare.


    Mi ha fatto pensare a quando lasciai la danza (troppo impegnativa e senza reali possibilità di successo ad alti livelli) per l'università, morì una parte di me, soffrii tanto e da allora non ho più voluto vedere balletti o spettacoli di quel genere per moltissimo tempo, ma in fondo sapevo di aver fatto la scelta giusta e ho trovato anche io il mio posto nel mondo

    Un Mikasa o un meteorite?”
    qui mi sono sbellicata dalle risate , bellissimo!!!

    Solo è stato tutto troppo veloce e breve..lo so che si amavano da allora, ma mi sarebbe piaciuto leggere di più sul loro ritrovarsi e la stessa splendida lentezza che hanno riservato alla loro intimità!

    Grazie Bat e alla prossima che a quanto ho capito è già in forno!!!!!
     
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    Eccomi LaraTania !
    Ho pensato di regalare a Kei soprattutto qualcosa da stringere fra le dita che non scivoli via come sabbia: nel manga di lui sappiamo che giocherà ancora a pallavolo e che studia all’università ma non sapremo mai che cosa combinerà e se troverà davvero il suo posto nel mondo. È un personaggio molto critico e cervellotico, ma anche molto fragile e delicato e almeno qui Tetsurō si prenderà cura di lui.

    Lo spin off è ancora in fase di creazione ma manca poco, avrà al centro altri due personaggi.

    Nel mentre, Il gatto e la luna sono sempre nel mio cuore e posterò presto un racconto in due parti ❤️
    A presto😘😘
     
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