-
.
Titolo: "Le lacrime delle stelle"
Autore: The Sound Of Silence
Protagonisti: Masumi
Breve Descrizione: La complessità dei sentimenti umani... (Antefatto)
Numero di Capitoli: 1
Contiene Spoiler: No
Contenuti Erotici: No
Può il silenzio risultare tanto assordante?
E' soffocante...
Il ticchettio della pioggia contro i vetri della finestra rimbomba nella stanza vuota, così come nel mio animo.
Null'altro turba la quiete della casa sprofondata nel sonno.
Una notte buia, senza luna né stelle.
Esilarante come ciò rispecchi la mia vita.
Detesto momenti come questo in cui non riesco a frenare lo scorrere dei pensieri.
Chi sono io? Qual'è il significato della mia esistenza?
Un guscio vuoto colmo soltanto di rabbia, rimpianti e solitudine.
Ah, il ticchettio si è fatto più intenso e si unisce ora al suono di rombi lontani.
La pioggia... unica testimone di questa mia debolezza... in un certo senso mi ci rispecchio.
Fredda, cade noncurante di ciò che la circonda, svanendo poi senza lasciare alcuna traccia del suo passaggio.
Così come la mia vita.
Tutto scivola via senza lasciare impronte. Cose, persone. Nulla scalfisce il mio interesse. Nulla va oltre le apparenze e le formalità.
Da quando mi sono tramutato in un essere tanto indifferente?
Sono sempre stato così? C'è mai stato un tempo in cui ho amato, ho sorriso, ho provato affetto dal profondo del cuore?
Quelle emozioni che rendono tale un essere umano, davvero io ne sono privo?
Ma se l'attaccamento verso una persona porta soltanto a vedere deluse, infrante, tradite le proprie aspettative...
Se provare sentimenti genera solamente sofferenza, allora preferisco rimanerne estraneo.
Perché affannarsi tanto a rincorrere così disperatamente il riconoscimento, la stima, l'amore degli altri? A quale scopo?
A questo mondo, alla fine, siamo tutti soli. Si è soli quando si nasce e si è soli quando si muore.
Sono stato un ingenuo a pensare diversamente.
Un anno, poi un altro ed un altro ancora.
Il tempo scorre, lento ed implacabile, attenuando alcune emozioni e rafforzandone altre.
Le ferite inferte al corpo vanno guarendo in qualche modo, ma per quelle dell'animo... la storia è differente.
Anche dopo che la ferita guarisce, non puoi mai dimenticare il dolore completamente.
Ciò che davvero scuote l'animo umano non è né la bellezza, né la gentilezza.
Sebbene possano certamente influenzare emotivamente, questi sentimenti non durano a lungo.
Rabbia e tristezza invece sono differenti. Lasciano un segno indelebile nei cuori delle persone.
Quanta sofferenza è in grado di sopportare un essere umano prima di spezzarsi?
Le persone sembrano deboli ma sono forti, appaiono forti ma sono in realtà deboli.
Non avrei provato più nulla, mi ero ripromesso, né disperazione, né speranza, e ancora...
Ancora... non ero stato in grado di prepararmi alla realtà. La realtà di vedere negata la mia stessa esistenza.
Ferisce essere traditi.
Sentimenti che non so esprimere con semplici parole.
Ciò che resta è solo un senso di vuoto, che cresce e si diffonde nel tuo corpo come una malattia, espandendo le proprie radici fino in fondo all'anima.
La vita è sofferenza, ma non importa quante lacrime una persona versi, non cambierà nulla e non riporterà indietro le cose.
Il dolore per la perdita di una persona amata; la sofferenza provocata dall'essere abbandonati dal proprio genitore...
Tutto veniva ingoiato da un buio abisso. Un'impenetrabile oscurità, nera come la pece. Un luogo in cui non importa quanti sforzi una persona impieghi al fine di raggiungere, non riuscirà mai ad avvicinarsi.
E' dove caddi e dove finora ho vissuto, incapace di dimenticare il passato.
Tutto...
Tutto ciò che ho fatto a partire da quel giorno di tanto tempo fa e che ancora oggi continuo a perseguire. La ragione per la quale mi sono spinto così lontano. Le competenze che ho acquisito. Il duro lavoro a cui mi sono sottoposto.
Tutto è stato guidato dalla rabbia e dal desiderio di vendetta.
Ma io, finora, cosa ho davvero fatto per me stesso?
Solo adesso mi accorgo di quanto la mia vita sia priva di significato.
Inconsistente come il vento, scivola via come sabbia fra le dita.
Sono stanco...
Stanco di nutrire speranza per poi cadere nella più cupa disperazione.
Eppure... nel profondo da qualche parte, sento che c'è ancora un lato di me che non ha rinunciato a lottare e si divincola nelle fitte tenebre in cui è immerso alla ricerca di uno spiraglio di luce.
Se a questo mondo ci fosse anche una persona che sapesse andare oltre le apparenze e guardare il vero me stesso...
Ciò sarebbe un miracolo.
Desidero poterli incontrare un giorno, qualcuno del genere. Anche una sola persona sarebbe sufficiente.
Una stella cadente in una notte buia. -
.
Caspita. Non immaginavo che questo tema potesse svilupparsi e dar vita a storie così differenti.
@Luce
Non so che dire, sono senza parole.
Mi sono innamorata del tuo modo di descrivere e narrare: sei molto poetica, Luce.
Invidio molto Maya. Essere amata dal tuo Masumi non ha prezzo.
@Icaro
Cara Icaro, quando ho letto il tuo commento non ho potuto trattenere un sorriso, giacché mi sono ritrovata parecchio nella tua descrizione.
Ho letto la tua f.f. e ti sollevo da ogni dubbio: sei stata brava!
Se ne percepisce l'atmosfera confidenziale e sono riuscita ad immaginarmi Maya mentre scriveva e confidava al suo leale amico diario i suoi pensieri e le sue più intime preoccupazioni. Mi sono persino immedesimata: cosa volere di più!
@Marti
La tua storia mi ha fatto stringere il cuore.
Mai mi sarei immaginata di scrivere una pagina di diario e di introdurla ai lettori facendola leggere da un altro personaggio. E poi da chi!
Ambientata in un roseo futuro, con la loro piccolina che legge il diario della mamma e si arrabbia con il papà. Padre e figlia mi hanno ispirato una gran tenerezza.
Una bellissima narrazione, complimenti.
@Scarlett Blu
E' bello poter finalmente capire cosa passa per la testa di Masumi. Tu ce l'hai permesso e grazie a te possiamo avvertirlo in tutta la sua umanità, con le sue paure e i suoi più intimi desideri.
Grazie a tutte ragazze per averci fatto dono del vostro tempo e sopratutto delle vostre belle storie. -
.
L'età... soltanto un numero scritto su un foglio di carta.
Umorismo, gioia di vivere e perché no, un pizzico di follia, sono gli ingredienti con i quali Kimiko Nishimoto, arzilla nonnina giapponese, è diventata una star sui social network alla tenera età di 89 anni.
Come, vi chiederete voi?
Niente di più attuale ai giorni nostri: i selfie! -
.
Nonostante la lunga assenza dai commenti attivi....
Grazie a tutte di vero cuore per i gentilissimi auguri.
Il tempo a mia disposizione aimè non é piú quello di una volta, ma quando posso torno e vi leggo volentieri.
Grazie di nuovo a tutte.
Buona giornata! -
.
LASSÙ TRA I GHIACCI
Il Giappone può vantare un selvaggio Nord leggendario: si tratta del vasto promontorio – incuneato nel mare di Ochotsk – nella parte orientale dell'isola di Hokkaido.
A fare da punto di partenza per l'esplorazione di questa terra, straordinaria sia in inverno – se non temete le temperature gelide – sia in estate, è la cittadina di Abashiri, dove organizzare avventure come l'escursione con la nave rompighiaccio Aurora per ammirare il mare ricoperto da una coltre bianca (da gennaio a marzo) o un trekking nel Parco nazionale di Akan, un territorio di foreste, vulcani, sorgenti calde e specchi d'acqua che ospita una fauna eccezionale, comprendente orsi bruni e varie specie di cervi.
Il lago Akan è l'habitat di una curiosa specie vegetale, il marimo, un'alga galleggiante di forma sferica e delle dimensioni di una palla da tennis. Sulle sponde sorge Ainu Kotan, enclave degli ainu, i “pellerossa del Giappone”. Questo popolo di origine mongola sta tenacemente tentando di mantenere viva la propria cultura, in comunione con la natura: nel villaggio si visita un museo che espone utensili e abiti tradizionali, fatti con la corteccia d'albero, e si assiste alle loro danze.
SCI, TREKKING E TERME SULLE... ALPI
Sono oltre cento le vette (alcune – come Norikura, Hotaka, Yari e Tateyama - superano i 3mila metri) della catena montuosa nel Parco nazionale di Chubu-Sangaku.
Se si fa eccezione per i templi a pagoda sparsi qua e là, il paesaggio ci sarebbe familiare: non a caso, questo territorio – che nel 1998 ha ospitato le Olimpiadi invernali – è noto come “Alpi giapponesi”. E' un paradiso per gli appassionati dello sci, delle arrampicate e delle camminate e per chi ama il relax alle terme.
La Lonely Planet ha da poco pubblicato la guida Hiking in Japan, fondamentale per organizzare un viaggio sportivo da queste parti: qui vi segnaliamo che le principali località-resort dell'area sono Kamikochi e Nagano, dove concedersi qualche giorno a tutta natura e un'escursione allo Jigokudani-Yaenkoen, il celebre luogo in cui spesso le scimmie delle nevi (Macaca fuscata) si concedono un bagno in un onsen, cioè in una piscina termale naturale.
L'ISOLA DEI CEDRI MILLENARI
Il clima non è il punto forte di Yakushima, l'isola al largo della costa meridionale di Kyushu dove, secondo un antico detto locale, “piove 35 giorni al mese”. Eppure, questa è una delle mete naturalistiche più apprezzate del Giappone. Il 75 per cento della sua superficie è ricoperto da una fittissima vegetazione, dagli alberi perenni sulla cima delle montagne ai labirinti di mangrovie subtropicali lungo la costa.
Se la ricchezza vegetale dell'isola è nota da secoli a botanici ed erboristi (il nome “Yakushima” è composto dagli ideogrammi “isola” e “medicina”), non serve essere “addetti ai lavori” per apprezzare l'incanto della foresta di yakusugi, gli enormi e vetusti cedri giapponesi. Il più battuto dei trekking, lungo un sentiero acciottolato che risale al periodo Edo, conduce ad ammirare Jomon Sugi, un esemplare che si dice sia vecchio 7mila anni.
Ricoperta di muschi e felci giganti, la foresta di cedri è servita da ispirazione per lo scenario del film d'animazione Principessa Mononoke, capolavoro di Miyazaki.
BENVUNUTI AI TROPICI
Che cosa vi dice il nome Okinawa?
Gli appassionati di storia risponderanno che è il luogo della più feroce battaglia navale della Seconda guerra mondiale. Ma scommettiamo che sono in pochi a saperne di più.
Innanzitutto si tratta dell'arcipelago più meridionale del Giappone, che conta 160 isole (di cui 49 abitate) e che – per chi ama le curiosità sportive – è famoso per essere la culla del karate. Ma, soprattutto, è un'inaspettata meta di vacanza (la preferita per la luna di miele dei giapponesi), dove oziare su magnifiche spiagge bianche bordate di palme, fare immersioni (tra i relitti, sulla barriera corallina o con le mante), escursioni di whale-watching e trekking naturalistici nella giungla tropicale, nonché scoprire i siti archeologici dell'antico regno di Ryukyu, fiorito qui tra il XIV e il XVI secolo.
(articolo tratto da “Meridiani”, anno XXIV, Febbraio 2011, n° 195) -
.
Non sei l'unica, Giallo. Più il tempo passa, più i luoghi degni di una visita si aggiungono ad una lista che oramai ha più le sembianze di un rotolo di pergamena...
Comincio a dubitare fortemente che anche un mese sia un lasso di tempo sufficiente ad ammirare con la dovuta calma tutte le cose belle che il Giappone ha da offrire. Forse in un anno...
Ma dico io: c'è qualcosa in Giappone che non è degno di nota? Ma perché!!!
Il villaggio di Ogimachi... vi svelerò che appena ho intravisto le foto in notturna, mi sono subito venute in mente le immagini stampate sui libri di fiabe. -
.
IL MANIERO DEI SAMURAI
I giapponesi lo chiamano Shirasagi, l'airone bianco, perché le sue pareti sono ornate con candidi stucchi e le tre torri che affiancano il corpo centrale lo fanno assomigliare a un uccello che si libra in volo.
Himeji-jo, il castello feudale più spettacolare del Paese, era nato allo scopo di difesa e lo stucco venne usato perché ha la proprietà di essere ignifugo. Come tutti gli edifici storici del Sol Levante, infatti, Himeji-jo è costruito in legno e, cinto da tre fossati, domina l'omonima cittadina, nella regione del Kansai.
A darne l'aspetto che si può ammirare oggi fu, nel 1601, il samurai Ikeda Terumasa: la sua inespugnabile residenza rappresenta l'apice del concetto giapponese di armonia dell'uomo con la natura. La solidità degli interni, in cui le funzioni militare e abitativa si fondono, fanno da contraltare alla raffinatezza delle decorazioni.NARA, LA PRIMA CAPITALE
Il 710 ha segnato la nascita del Giappone. Fu in quell'anno che venne fondata Nara, la prima capitale, che avrebbe conservato questo titolo fino al 784. Un periodo breve, nel quale il Giappone si trasformò in uno stato con un governo e un apparato burocratico e legislativo centralizzato, su modello cinese.
Eretta a immagine e somiglianza di Xian, capitale della dinastia Tang, Nara venne pianificata secondo i principi della geomazia cinese: avevano posizioni “propizie” il palazzo imperiale, le residenze di corte, i luoghi del commercio e i 50 templi che furono il centro propulsore per la diffusione del buddhismo a scapito dell'“indigeno” shintoismo.
Il sostenitore più entusiasta della nuova filosofia fu l'imperatore Shomu (che regnò dal 724 al 749), che fece costruire il Todai-ji, il tempio con il primato dell'edificio in legno più grande del mondo, per ospitare una statua in bronzo del Buddha alta 18 metri e pesante 450 tonnellate.
Se il Todai-ji lascia senza fiato, tutto l'antico complesso urbano rappresenta la meta storica più affascinante del Paese, racchiusa com'è nel Nara-koen, il parco nel cuore della moderna città, che conta poco più di 30mila abitanti.
A popolare i resti della capitale imperiale, invece, sono rimasti 1200 cervi: considerati sacri in quanto messaggeri degli dei, sono molto amichevoli con i visitatori.MISTICA KOYASAN
A due ore di treno da Osaka, Koyasan è un luogo fuori dal mondo.
A 900 metri di altitudine, su di una verde montagna sempre avvolta dalla nebbia, è una cittadella con 120 templi a pagoda e una popolazione di 4mila monaci, fondata nell'anno 804 da Kükai, padre spirituale del Giappone nonché maestro dello shingon, la corrente esoterica del buddhismo.
L'atmosfera è magica e si può fare l'esperienza di soggiornare negli shukubo (le foresterie monastiche), provare la shojin ryori (la cucina vegetariana dei monaci) e partecipare alle meditazioni del mattino.
In più, Koyasan è la tappa fondamentale del pellegrinaggio nei luoghi sacri della penisola di Kii: il territorio è percorso da 2mila chilometri di sentieri che colegano comunità buddhiste, shintoiste e zen.PICCOLO MONDO ANTICO
Quando si arriva in Giappone si viene investiti dal... futuro, fatto di città ipertecnologiche, tanto che appare poco realistico pensare che ci sia ancora qualcuno che, con il cappello di paglia a cono, vive con lentezza, coltivando il riso e i valori della tradizione.
Ebbene, piccole enclave di quel mondo antico resistono e non si trovano neppure in luoghi remoti. Basta prendere un treno per Hida Takayama, a metà strada tra Tokyo e Kyoto, per trovarsi in una cittadina che conserva le dimore in legno del periodo Edo, dove visitare laboratori artigianali di lacche e distillerie di sake.
E poi, con un'ora di autobus si raggiunge la regione montana di Shirakawa-go, in uno scenario che, nel cuore dei giapponesi, è secondo soltanto al monte Fuji. Qui c'è il villaggio di Ogimachi, tutelato come “tesoro Nazionale” per le 110 abitazioni in legno (in parte abitate da contadini, in parte trasformate in musei del folclore o in ryokan) costruite in stile gassho-zukuri, e cioè “mani giunte” per il tetto molto spiovente ricoperto di paglia. Vale la pena trascorrere un paio di giorni nel villaggio, per vivere con gli abitanti e partecipare alle loro attività, tra cui la danza del leone.
(articolo tratto da “Meridiani”, anno XXIV, Febbraio 2011, n° 195) -
.
Non posso che concordare con te, Luce!
Kyoto è invero una città magica. Io stessa ne sono rimasta incantata e stupita man mano che scrutavo le immagini e ne scoprivo i tesori.
Ha un fascino senza tempo, senza eguali. -
.
Forumelle amanti di Skip Beat!, che ne dite di rinfoltire questo topic con qualche "nuova" immaginetta?
Tipo questa...
Per esempio, potremmo iniziare con una carrellata di immagini della protagonista, Kyoko, e delle sue molteplici e camaleontiche trasformazioni nel corso della storia.
Ecco qua, allora. Buona visione.
-
.
Ely (), Wenny Lea, kamitora, kirichan, linas, kezia, anica, GiallodiMarte, Luce, dadas...
-
.
Innanzitutto, seppur conscia del tremendo ritardo, faccio i miei migliori auguri di Buon Compleanno alla cara Ely, Kezia e tutte coloro che mi sono persa. Tanti auguri!! Perdonate il tempismo. ***
Sono invece ancora in tempo per rivolgermi alla festeggiata di oggi. Detto questo...Tanti auguri Giallo,
Buon Compleanno! -
.
Stasera ho visto Your Name.
Volevo ringraziarvi. Per averne parlato, per i vostri commenti e per avermi permesso di cogliere questa nuova occasione ed avere quindi modo di ammirarlo.
Mi ha colpito ed incredibilmente emozionato.
Grazie ancora. -
.
Un'involucro di vetro che galleggia su uno specchio d'acqua.
E' Water/Glass House, ad Atami, uno dei capolavori di Kengo Kuma, realizzata nel 1995.
A Tokyo, la vita media di un palazzo è di venticinque anni.
A differenza degli occidentali, infatti, da sempre i giapponesi costruiscono e ricostruiscono i loro edifici, secondo il principio del “wabi-sabi”, cioè dell’impermanenza. Una filosofia adottata anche dagli architetti contemporanei…
Nulla dura, nulla è finito, nulla è perfetto…
Su queste tre affermazioni si fonda il “wabi-sabi”, ovvero il principio-base dell’estetica giapponese.
Mentre per gli occidentali il bello viene associato all’eternità, alla completezza e alla perfezione, per i nipponici vale esattamente l’opposto: la bellezza è impermanente, incompleta e imperfetta.
Il concetto vale anche per l’architettura.
«Spesso si critica Tokyo perché, all’interno della sua struttura urbana, la memoria storica tangibile è a breve scadenza: non ci sono cioè edifici a cui viene assegnato il ruolo di ricordare il passato, cosa che invece accade a Roma e a Parigi con il Colosseo e il Palais Royal», spiega Salvator-John A. Liotta, ricercatore all’università di Tokyo, oltre che stretto collaboratore dell’architetto Kengo Kuma.
«In Europa, e particolarmente in Italia, si respira il senso di un tempo che fa della lunga durata la propria unità di misura.
In Giappone no: i palazzi della capitale hanno una vita media di venticinque anni, poi vengono abbattuti e riedificati, magari con una diversa destinazione d’uso. E persino un luogo sacro come il santuario di Ise viene smontato e ricostruito ogni due decenni.
Ritengo che tale atteggiamento sia connesso con le radici religiose e filosofiche dei giapponesi: essendo in maggioranza shintoisti e buddisti, credono nella fine dell’essere fisico e nelle reincarnazioni in altre entità», continua lo studioso.
E allora esiste un filo rosso nell’architettura nipponica, al di là delle diverse scuole e delle singole personalità?
Certamente sì, come scoprirete in questo viaggio che va dal secondo dopoguerra a oggi.
Lo Yoyogi National Gymnasium, che risale all'inizio degli anni 60,
è uno degli edifici che ha dato fama a Kenzo Tange.
Si trova a Tokyo, nel quartiere Shibuya ed è un complesso polivalente:
qui nel 1964 sono state ospitate le gare olimpiche di nuoto,
mentre nel 2010 si sono svolti i campionati mondiali di judo.
MAEKAWA E TANGE, I MAESTRI
Strano ma vero: Kunio Maekawa (1905-86) e Kenzo Tange (1913-2005), gli ambasciatori della rinascita architettonica locale, sono forse i meno “giapponesi” quanto a stile. Entrambi s’ispirano infatti al Movimento Moderno e a Le Corbusier.
Tra il 1928 e il 1930, Kunio Maekawa lavora nello studio parigino di quest’ultimo e ne assorbe la lezione, evidente nell’uso del cemento armato. Tra i suoi capolavori occupa un posto speciale la Metropolitan Festival Hall di Tokyo (1961), una delle più prestigiose sale da concerto del mondo, un luogo in cui Oriente e Occidente trovano un punto d’incontro. Per una curiosa coincidenza e in una sorta di dialogo ipotetico tra maestro e allievo, proprio di fronte sorge il Museo Nazionale di Arte Occidentale di Le Corbusier…
Discepolo di Maekawa, Kenzo Tange lo superò ampiamente quanto a notorietà. E’ considerato infatti uno dei grandi del Novecento, un architetto cosmopolita che ha lasciato il segno non solo in patria, ma anche negli Stati Uniti, in Francia, nei Paesi Arabi e in Italia.
Sostenitore di uno stile monumentale, capace di “marchiare” in modo forte un territorio, ha realizzato diverse opere di rilievo nella capitale giapponese. Un esempio: lo Yoyogi National Gymnasium, complesso sportivo dove, nel 1964, si sono tenute le gare olimpiche di nuoto.
Impegnato nel trovare soluzioni alla crescita demografica del paese, Tange si è dedicato anche all’urbanistica con Tokyo 1960, un progetto che prevedeva l’ampliamento della metropoli lungo un asse rettilineo, grazie a una megastruttura di collegamento tra terraferma e isole.
L'ampio foyer della Metropolitan Festival Hall di Tokyo,
una delle più prestigiose sale da concerto del mondo.
L'ha creata nel 1961 Kunio Maekawa,
maestro dell'architettura giapponese del dopoguerra.
L’UTOPIA DEI METABOLISTI
Pensate alle nuove strutture urbane come a un enorme organismo, in grado di crescere e di trasformarsi secondo le leggi del dinamismo vitale… E’ questa, in pillole, la sfida lanciata dal Gruppo Metabolism, un collettivo che si forma nel 1960 e di cui fanno parte, tra gli altri, Noriaki Kisho Kurokawa (1934-2007), Fumihiko Maki e Kiyonori Kikutake (entrambi nati nel 1928).
Con l’intento di unire architettura e ricerca tecnologica, nel progetto denominato Marine City, Kiyonori Kikutake immagina l’espansione di Tokyo sulla baia, anticipando soluzioni audaci e avveniristiche, compresa una possibilità di sviluppo sottomarino.
Meno utopico e più pragmatico di lui, Fumihiko Maki mette in piedi un proprio studio e realizza parecchi edifici, in cui vengono utilizzati calcestruzzo e metallo, vetro e legno, in un’alternanza di opacità e trasparenza. Tra i suoi esiti migliori vanno ricordati il Momak, uno spazio museale di Kyoto, e l’Hillside Terrace Complex, un insieme di abitazioni, negozi e uffici costruito tra il 1969 e il 1992 nella capitale.
Per la cronaca è stato il secondo giapponese, dopo Kenzo Tange, a ricevere il premio Pritzker, il Nobel dell’architettura, mentre nel 2003 è uno dei finalisti nel concorso per la ricostruzione di Ground Zero a New York.
Allievo di Tange, ma influenzato dall’arte surrealista e dai metabolisti, Arata Isozaki (1931) subisce il fascino delle figure geometriche semplici, come il cerchio e il quadrato. Negli anni Settanta firma una delle sue opere più note, il Museo d’arte moderna Gunma a Takasaki, basata sulla ripetizione di un modulo cubico di dodici metri per lato.
Tuttavia la sua poetica è in continua evoluzione.
E quanto, tra il 1979 e il 1983, realizza il centro civico di Tsukuba, il segno si ammorbidisce e non mancano citazioni dell’architettura occidentale. In seguito si avvicina al postmodernismo, realizzando sia edifici dall’impatto ludico, sia costruzioni più rigorose. Un esempio è il museo di arte contemporanea a Nagi, dove le aree espositive hanno forma di cilindro, cubo e falce di luna.
«Devo molto all’Occidente per quanto concerne la struttura e la tecnologia. E credo che nelle mie realizzazioni l’Est e l’Ovest convivano. Non vale la pena di chiedersi in che modo si incontrano, ma è importante il fatto che io abbia entrambe le culture», ha detto per spiegare quello che lui stesso definisce “eclettismo schizofrenico”.
Una specie di astronave ancorata a quattro grandi piloni:
è l'Edo-Tokyo Museum
realizzato nel 1993 dall'architetto e urbanista Kiyonori Kikutake,
esponente del gruppo Metabolism fondato nel 1960.
Nel 1959 Kikutake aveva sviluppato l'idea di una città galleggiante.
LE STAR: TADAO ANDO E TOYO ITO
Se i metabolisti operano al confine tra provocazione e utopia, al loro fianco si forma una generazione di architetti più giovani, in cui personaggi di punta sono Tadao Ando e Toyo Ito.
Fin dagli esordi Tadao Ando – un autodidatta che ha lavorato come camionista e pugile prima di dedicarsi all’architettura – ha inglobato nella tradizione nipponica qualche frammento occidentale.
Manifesto del suo stile è la casa Azuma a Sumiyoshi (1976): una piccola struttura in cemento armato, geometricamente semplice eppure molto articolata nella concezione degli spazi, al centro della quale c’è una corte su cui si aprono le varie stanze.
Vetro, metallo, legno e materiali leggeri sono invece protagonisti di alcune sue opere più recenti, come due edifici religiosi a Tomamu (1988) e a Ibaraki (1989), contrassegnati da un dialogo costante tra interno ed esterno, tra elementi architettonici e naturali. Non a caso sono stati definiti rispettivamente “la chiesa sull’acqua” e “la chiesa della luce”.
Diventato una star (suoi i restauri veneziani di Palazzo Grassi, nel 2006, e del Museo di Punta della Dogana, nel 2009), il maestro giapponese è stato insignito nel 1995 del Pritzker, devolvendo 100mila dollari del premio agli orfani del terremoto di Hanshin.
Coetaneo di Ando è Toyo Ito, “uno degli architetti più innovativi e influenti del mondo”, secondo i critici di Designboom, un sito specializzato che oggi gode di grande considerazione.
Discepolo di Kiyonori Kikutake, da quest’ultimo ha preso la tensione utopica e l’approccio tecnologico, che diventerà particolarmente evidente a partire dagli anni Ottanta.
Nelle sue straordinarie creazioni convivono materiale e immateriale, mondo fisico e realtà virtuale. Ne è un esempio Silver Hut, la sua abitazione a Tokyo, con pareti trasparenti ed elementi prefabbricati, una vera e propria rilettura in chiave contemporanea della tradizionale casa “aperta” giapponese.
Da segnalare anche l’O Dome (1997), uno stadio polivalente coperto da un’enorme cupola in teflon bianco: l’aspetto ricorda quello di una collina innevata e non certo a caso, poiché nella regione di Odate sono molto frequenti le precipitazioni nevose.
Forme circolari,
linee semplici e trasparenti,
caratterizzano il 21st Century Museum of Contemporay Art,
il complesso che Kazuyo Sejima ha realizzato nel centro città di Kanazawa.
KUMA, SEJIMA E I CINQUANTENNI
«Non ho l’esigenza di realizzare l’opera unica, ma lavoro piuttosto pensando che possa sparire: e, anche se non arrivo a cancellare l’architettura, ritengo che rispettando la morbidezza, l’uomo, l’ambiente e la natura, si possano ottenere risultati differenti», sostiene Kengo Kuma.
Le sue parole partono da un assunto: se l’Occidente ha innalzato monumenti e templi in pietra usando lo scalpello, l’Oriente predilige il pennello, il legno e la carta. Durezza contro morbidezza, in-scrizione contro de-scrizione.
Per questo Kuma recupera la cultura classica giapponese: basti pensare alla sua Bamboo House – in cui utilizza un materiale naturale come il bambù – o al Kikatami Canal Museum di Miyagi, perfettamente integrato nell’area di uno dei più vecchi canali del Paese.
Della stessa generazione di Kuma, fanno parte anche Shigeru Ban e Kazuyo Sejima, entrambi nati negli anni Cinquanta.
Nel 2010 Sejima, fondatrice del noto studio Sanaa, ha conseguito due traguardi notevoli: si è aggiudicata il Pritzker, insieme con il suo socio Ryue Nishizawa, e ha curato la dodicesima Biennale architettura, prima donna nella storia chiamata a dirigere un’edizione della rassegna veneziana.
Tra i suoi lavori ha ricevuto molti riconoscimenti il 21st Century Museum of Contemporary Art di Kanazawa, un edificio tondeggiante e trasparente che interagisce in modo armonioso con le attività che ospita.
Un'idea di integrazione tra l'opera dell'uomo e il paesaggio che la circonda.
Questa è la Cappella nell'acqua di Tomamu
realizzata nel 1988 da Tadao Ando.
LA “NOUVELLE VAGUE”
E le nuove generazioni? Tra i quarantenni spiccano Yoshiharu Tsukamoto e Momoyo Kaijima - cioè Atelier Bow-Wow – e Sosuke Fujimoto.
Le loro ricerche sono concentrate sulle residenze private.
Fujimoto ha realizzato Tokyo Apartment: un progetto per piccole unità abitative a Itabashi, quartiere ad altissima densità di popolazione.
Un discorso analogo vale per le Pet Architectures dell’Atelier Bow-Wow: micro-costruzioni, come la casa Aco o la Casa Tower, che “vivono” negli spazi urbani marginali, come i nostri animali domestici (pet, in inglese).
Più giovane di loro è Makoto Tanijiri, classe 1974, titolare dello studio Suppose Design Office: la sua House in Buzen è una casa progettata per una giovane famiglia e si compone di diversi corpi, unificati da una corte-sentiero coperta con un tetto di vetro. Lo scopo è di creare connessioni tra spazi chiusi e aperti, tra l’interno e l’esterno.
Coetaneo di Tanijiri è Junya Ishigami, il personaggio emergente della scena giapponese: con la sua architettura aerea che sembra dissolversi nello spazio, ha vinto nel 2010 il Leone d’oro per il miglior progetto alla Biennale di Venezia.
Centoquaranta capsule prefabbricate in acciaio
"appese a torri in cemento armato.
E' la Capsule Tower,
simbolo del movimento Metabolism,
realizzata a Tokyo tra il 1970 e il 1972 da Kisho Kurokawa,
allievo del grande Kenzo Tange.
(artcolo tratto da “Meridiani”, anno XXIV, Febbraio 2011, n° 195) -
.
Risposta esatta!!
Brava anica!
A te la parola.